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Il Brancusi di Mircea Eliade in scena. Conversazione con Tazio Torrini

28 settembre 2009 Commenti disabilitati

Alina Lungu: Come ti sei sentito nel ruolo di Brancusi? Hai mai interpretato un ruolo simile, quello di un artista-scultore?

Tazio Torrini: No, ma avevo già lavorato sul poeta Dino Campana nel cinema e sul giornalista Raffaele Favero in teatro. Non è facile interpretare persone realmente esistite: subentra un certo pudore per l’inevitabile furto di identità. Inoltre il Brancusi di Mircea Eliade è anziano, mentre io ho trentatré anni. Più che sulla “persona Brancusi”, ho lavorato sulla sua opera, sul suo pensiero, sul suo vissuto interiore di uomo e di artista. In un certo senso il “Brancusi” in scena è una convenzione affinché si riesca a far rivivere il significato interiore e le suggestioni della sua opera. La produzione artistica del maestro, per esempio, abbiamo scelto di non replicarla; chi è incuriosito può aprire un libro o andare in un museo, perché in scena non ci sono riproduzioni delle sue sculture. Ci sono azioni compiute con dei teli o semplicemente col solo movimento del corpo, funzionali rendere l’energia, lo sforzo creativo, il movimento interiore che si fa esteriore, i lampi di luce, le linee di energia che lo scultore cerca di trasporre nella materia grezza. Attraverso questo abbiamo cercato di raccontare qualcosa di più universale del mero dato biografico.

Il piacere creativo, così come l’interrogarsi sul proprio operato di uomo penso che siano esperienze comuni a tutti. Credo che sia per questo che lo spettacolo ha coinvolto profondamente persone di ogni tipo.

Il tuo ruolo è anche di resistenza fisica. Riesci ad abbinare meravigliosamente il testo con l’espressione del corpo e della voce. Conduci alla fine tutto lo spettacolo senza segni di stanchezza. Come riesci a fare questo?

E’ una domanda interessante. Una piccola conferma che, forse, il mio percorso di lavoro sia sulla buona strada. È vero, non arrivo stanco alla fine dello spettacolo. Nonostante sia fisicamente impegnativo, non c’è dispersione di energia. Lavoro volentieri a questo spettacolo per la sensazione di vitalità che me ne viene. Da circa tre anni, infatti, ho cominciato a elaborare una metodica di lavoro che propongo anche nei miei laboratori teatrali. Lì ci sono le mie esperienze professionali e personali, le letture più o meno “esoteriche”, la mia visione sull’essere umano. Cerco di realizzare una presenza in scena che costituisca un’amplificazione dell’esperienza vitale. Energia fisica, attenzione, assenza di blocchi, ricerca dell’armonia fanno sì che il corpo sia una membrana sensibile che si plasma sotto gli impulsi di una precisa ispirazione. Non c’è casualità, non c’è sforzo. Lo spirito trova agevole espressione ai suoi moti.

Quali sono i tuoi modelli nel teatro?

Ho qualche modello vivente. Fra gli italiani Claudio Morganti, Massimo Verdastro e Danio Manfredini. Recentemente ho scoperto Pippo Delbono, che trovo dotato di una personalità sconvolgente. Ho avuto la fortuna di assistere a una delle ultime performances di Leo De Berardinis; era un attore unico. Purtroppo mi è mancato Carmelo Bene, ero troppo giovane; credo che lo avrei adorato. Di tutte queste persone mi ispira la “pienezza” del loro stare in scena. Devo menzionare anche altri due straordinari artisti: il boliviano César Brie e il brasiliano Cacà Carvalho, il più famoso attore del Sudamerica oltre che amico personale. Anche alcuni scritti e saggi sul teatro mi hanno suggestionato molto: parlo dei libri dell’attore Michail Cechov e di Yurij Alschitz. Importante è stato il breve incontro con Riccardo Caporossi,  regista che mi ha insegnato lo stare in scena; il metodo di lavoro di Ingemar Lindh attraverso i suoi continuatori Magdalena Petruska e Roger Rolin; e infine la tradizione di Pontedera Teatro che attraverso una infinità di stimoli ha avuto parte fondamentale in quello che sono attualmente.

Che cosa conosci del teatro romeno? Registi, attori…

Conosco molto poco. Sarà scontato, ma mi viene in mente Ionesco. Ne ho letto le opere, ma non le ho mai viste rappresentate. Mi è capitato invece di vedere a Firenze una rappresentazione della Compagnia di Oradea. Un tragedia greca trasposta in chiave contemporanea, molto energica e bella da vedere.

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(Nota red. FIRI: La versione romena e integrale dell’intervista, insieme all’intervista al traduttore della pièce, entrambe a cura di Alina Lungu, sono state pubblicate sulla rivista Tribuna di Cluj, n. 170, 1-15 ott. 2009, pp. 16-18).

“La colonna infinita”, dietro le quinte

4 agosto 2009 1 commento

Intervista alla regista Letteria Giuffrè Pagano

Si pubblica qui in anteprima un frammento dell’intervista che Alina Lungu ha fatto a Letteria Giuffrè Pagano dopo il debutto a Roma della pièce di Mircea Eliade “La colonna infinita”.


Alina Lungu: Il testo originale di Mircea Eliade è composto di tre parti, con più personaggi simbolici. Il tuo spettacolo propone una prospettiva diversa, un monologo in cui sono presenti diversi linguaggi artistici. Qual è il processo creativo, genetico di questo spettacolo? Come hai lavorato sul testo originale?

Letteria Giuffrè Pagano: Eliade ha scritto questa pièce in tre atti, nel 1970. Nel testo sono presenti indicazioni sceniche molto precise, riguardano la scenografia, le luci, i dettagli. I personaggi, tanti, si propongono come interlocutori dello scultore e permettono di raccontare la storia, di intuire il dramma. Un ruolo importante è quello della ragazza, che compare nel primo atto e ritorna, immutata, nel terzo, con un Brancusi ormai vecchio e stanco.

Mentre leggevo il testo per la prima volta, capivo già che se da un lato la pièce è irrappresentabile, dall’altro le suggestioni che Eliade mi dava erano molto chiare, così ho accolto la “sfida”. Ho iniziato a lavorare sull’adattamento, un lavoro durato tre mesi, meticoloso e attento. Questa in effetti è stata la fase più lunga della gestazione del lavoro. Il testo, nel mio spettacolo, è misurato, ma nessuna parola è stata cambiata rispetto all’originale e, come in una sintesi, è presente tutto, dall‘inizio alla fine. Era la mia scommessa, volevo un Eliade integro, inalterato ma per la scena. La trama sottile che sostiene la performance affonda radici nella mia idea greca di teatro, è presente infatti un prologo, un corpo centrale, un epilogo. Chiaramente ho dovuto fare delle scelte e seguire l’idea di fondo che avevo sulla rappresentazione. Poi è arrivato il momento di lavorare con l’attore.

Quanto importante è il gioco dell’attore rapportato ala scenografia, luci, musica ed oggetti che tu hai usato nel tuo spettacolo? Qual è la migliore proporzionalità tra tutti questi linguaggi scenici? Secondo me, uno dei migliori momenti dello spettacolo, quasi come un rituale sacro, è stato quello in cui l’attore-Brancusi esprime con il proprio corpo la nascita delle sue opere cantando come il gallo, la Maiastra. Questa scena esprime il messaggio di base dello spettacolo, ma senza usare le parole, senza entrare in relazione con nessun altro oggetto. Quindi quanto importante è il corpo umano in rapporto con gli altri linguaggi scenici?

Tazio Torrini, oltre ad essere un attore di talento, ha saputo mettersi totalmente in gioco in questo lavoro. Si è fidato delle indicazioni registiche proponendo azioni sceniche di grande interesse. Il suo apporto creativo è stato quindi notevole nella composizione dello spettacolo. Credo in un teatro totale, nel senso che tutto concorre all’opera, oggetti scenici, suono, colori, parole, movimento. Tutte le scelte sono state prese nel dialogo e ci siamo interrogati a lungo sul senso degli elementi che compaiono sulla scena. Sulle sculture di Brancusi abbiamo lavorato per giorni e giorni, quello era quello lo scoglio più grosso, oltre al testo naturalmente.

foto di scena, Firenze, 29 luglio

foto di scena, Firenze, 29 luglio

Il nostro lavoro si concentra sulla massa, la materia, lo spazio e soprattutto la luce e l’interpretazione dell’occhio in relazione a tutto questo. Ovviamente siamo partiti dalle nostre reazioni personali, del regista e dell’attore, per creare le azioni fisiche e visive dello spettacolo. Sì perché questo lavoro ha delle azioni visive – le immagini non sono lì solo per impressionare la retina, ma per creare il movimento – sia interno nello spettatore, che sulla scena nel corpo e nella voce dell’attore. Il corpo è il fulcro di tutto, ogni atto ogni movimento è significante: muove l’aria, crea cambiamento nello spazio, segna il tempo. E’ il corpo che muta la nostra percezione, è il transfert tra il visibile e l’invisibile. Questo tipo di processo creativo ha fatto sì che nulla risulti scontato o didascalico, aldilà del gusto personale, “La colonna infinita” possiede un elemento per me fondamentale: l’autenticità.

“La Colonna infinita” è uno spettacolo per un pubblico speciale, intellettuale oppure il suo messaggio è facile da comprendere?

L’utopia è quella di raggiungere l’universalità, ossia riuscire a mettere in gioco più livelli di comprensione. Per me questo è fondamentale, ma è una continua ricerca. La comprensione del testo in questo caso si sovrappone al gioco scenico dell’attore e alla partitura delle azioni, alle superfici visive che si stratificano l’una sull’altra. L’importante è destare la curiosità del pubblico, attivare la sua percezione e immaginazione. Del resto, non credo che il tema della sterilità, del blocco creativo, sia egemonia degli artisti o dei creativi; in qualche modo, ogni persona si è trovata qualche volta nella vita di fronte al vuoto, all’assenza e al silenzio… noi vogliamo scoprire se c’è una ricchezza del vuoto, del non sapere.

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[Red. FIRI] Aggiornamento: La versione romena e integrale dell’intervista, a cura di Alina Lungu, è stata pubblicata sul numero 9/2009 della rivista mensile Acolada (p. 18) di Satu Mare.

“La colonna infinita” di Mircea Eliade, a Roma

26 Maggio 2009 Commenti disabilitati

foto di scena

Roma, 26 maggio 2009

La colonna infinita, pièce teatrale di Mircea Eliade tradotta da Horia Corneliu Cicortaş, nella regia di Letteria Giuffrè Pagano, con Tazio Torrini, approda questa settimana a Roma.

Dopo il recente debutto a La Spezia, nella prima tournée della compagnia Telluris Associati, il pubblico di Roma potrà assistere venerdì 29 e sabato 30 maggio, alla performance ospitata nella suggestiva cornice dell’Accademia di Romania a Villa Borghese, nell’ambito della manifestazione artistica “Spazi aperti”.

La pièce, incentrata sulla figura di Constantin Brancusi (Hobiţa, 1876 – Parigi 1957), l’artista che ha rivoluzionato la scultura del Novecento, ha come autore Mircea Eliade (Bucarest 1907 – Chicago 1986), noto storico delle religioni e scrittore.

La colonna infinita viene messa in scena per la prima volta in Italia, dove il teatro di Eliade è inedito e pressoché sconosciuto. Lo spettacolo è prodotto dalla compagnia toscana Telluris Associati, in collaborazione col Forum degli intellettuali romeni d’Italia (FIRI).

Le repliche dello spettacolo (venerdì 29 e sabato 30) inizieranno entrambe alle ore 21 e saranno seguito da un rinfresco.

Ingresso libero fino ad esaurimento posti.

Per info e prenotazioni: 349-7562472, 348-4934104.

Web: http://www.accadromania.it/home.htm, http://www.spaziaperti.org/program.htm, http://telluris.wordpress.com

“La Colonna Infinita” di Mircea Eliade, in scena

30 gennaio 2009 Commenti disabilitati

Segnaliamo qui la nascita della GALLERIA DELL’INCOMPIUTO, il nuovo progetto teatrale dei Telluris Associati, che esordisce con lo spettacolo “La colonna infinita”, testo di Mircea Eliade inedito in Italia (tradotto da Horia Corneliu Cicortas). FIRI ha collaborato alla realizzazione e sta collaborando alla diffusione di “Colonna infinita”.

Il progetto Galleria dell’Incompiuto: http://incompiutamente.wordpress.com

Demo dello spettacolo “La colonna infinita”: http://www.youtube.com/watch?v=T5bPNWFyEkE