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Uno spazio ancora negato
di Valentina Elia, FIRI (oblò)
Nuovo ostacolo (francese) per l’adesione allo spazio Schengen di Romania e Bulgaria
Pochi giorni fa in Francia si è alzato un vero e proprio polverone politico che sembra aver anticipato di quasi sei mesi le elezioni locali ed europarlamentari, previste per la primavera del 2014. Oggetto di discussione sembra essere ancora una volta la candidatura di Romania e Bulgaria all’area Schengen, lo spazio in vigore dal 1995 in cui è consentita la libera circolazione delle persone, senza controlli alle frontiere interne.
Negli anni scorsi, diversi stati membri avevano espresso perplessità sull’ingresso di Romania e Bulgaria, arrivando persino a minacciare il veto per bloccare la candidatura (congiunta) dei due paesi danubiani nell’area Schengen. Ad alzare la voce furono stati come la Germania e l’Olanda. Oltre alla presunta inadeguatezza di Romania e Bulgaria nella gestione e prevenzione dei flussi migratori, Germania e Olanda contestavano anche la loro capacità nel fronteggiare la corruzione e la criminalità ai propri confini. Contestazioni che certamente non piacquero agli stati interessati, dati gli enormi sforzi compiuti per mettersi al pari con gli altri membri del club. Ma a queste preoccupazioni politiche ora si accostano le preoccupazioni “culturali” da parte della Francia. A mettere in allarme il Governo francese sono i 20.000 rom stranieri presenti sul territorio della Francia, i quali, si afferma negli ambienti vicino al presidente Hollande, “hanno uno stile di vita estremamente differente”.
Per la prima volta, un argomento di questo genere viene utilizzato per bloccare l’adesione di un Paese UE nello Spazio Schengen. La Commissione europea, pertanto, ha giudicato scandalose le affermazioni della Francia, ricordando che la libera circolazione delle persone costituisce uno dei valori su cui si basa l’Unione Europea. E neppure il commissario della giustizia Viviane Reding è stata clemente nei confronti della Francia, accusandola di usare la questione rom come una sorta di scudo dietro il quale rifugiarsi per non affrontare questioni scottanti come il bilancio del Paese o il debito pubblico.
A smorzare un po’ i toni, cercando di precisare e chiarire alcune questioni alla base delle accuse francesi, è il premier romeno Victor Ponta. Egli ha ribadito che “non esiste una connessione tra l’adesione della Romania allo spazio Schengen e la minoranza rom, per il semplice motivi che la Romania non è ancora un membro dello spazio Schengen, eppure i rom sono già lì”.
Fonte: Gazeta Românească
Gran Bretagna: “I romeni sfortunati di arrivare qui per ultimi”
Intervista a Petru Clej, giornalista romeno che vive a Londra, sull’immigrazione in Gran Bretagna e sulla politica attuale britannica in materia di integrazione europea.
Redazione FIRI: Fino a non molto tempo fa, la Gran Bretagna sembrava essere meta “tranquilla” per gli emigranti romeni rispetto ad altri Stati europei, in cui l’immigrazione di massa, unita a fattori di politica interna, aveva portato a manifestazioni xenofobe e campagne anti-romene. L’eccezione britannica è legata solo all’accesso limitato al mercato del lavoro? Polacchi e cittadini dei Paesi Baltici hanno ricevuto lo stesso trattamento nel periodo 2004-2007?
Petru Clej: La Gran Bretagna, assieme all’Irlanda e la Svezia, è tra i primi Paesi ad aprire sin dal primo momento il mercato del lavoro ai cittadini degli otto Stati ex-comunisti, che nel 2004 hanno aderito all’UE.
Dopo l’Italia, anche la Francia di Sarkozy (2011) se l’è presa con i migranti romeni e con i rom, che fungono perfettamente da capro espiatorio nel momento in cui si parla di una crescita, reale o “percepita”, della micro-criminalità. In Gran Bretagna che peso hanno questi fattori sul discorso politico e mediatico riguardante l’immigrazione dall’Est Europa?
I romeni sono al secondo posto, dopo i polacchi, tra i residenti nel Regno Unito provenienti dai 26 stati UE, per il numero di reati commessi. Ma non è questo dato a motivare la tendenza a considerare i romeni come capri espiatori, quanto il fatto che dopo il 2004 siano giunti dall’Europa Centrale e dell’Est molti più migranti di quanto ci si aspettasse. Si può dire che i romeni subiscono questo trattamento perché hanno avuto la sfortuna di giungere qui per ultimi.
Esistono in Gran Bretagna, stampa e società, categorie di “good immigrants” e “bad immigrants” in questo momento? Naturalmente tralasciando gli immigrati percepiti come “buoni” in quanto pochi (come eravamo noi romeni all’inizio degli anni Novanta in Italia!)
Per prima cosa, stampa e società in Gran Bretagna non costituiscono un blocco che pensa in maniera omogenea. Successivamente, non pensiate che i romeni siano l’ombelico del mondo, per essere il bersaglio di un disprezzo generalizzato. La società britannica è pur sempre una multiculturale e multirazziale.
I Laburisti assumono una posizione differente rispetto ai Conservatori riguardo la questione Europa, e in particolar modo riguardo al diritto alla libera circolazione e al diritto al lavoro dei cittadini UE?
Il partito laburista era al potere nel 2007 quando la Romania ha aderito all’UE e quando il governo britannico ha esercitato il proprio diritto a introdurre restrizioni per l’accesso al mercato del lavoro. Il governo di coalizione conservatore-liberaldemocratico non ha fatto altro che prolungare queste restrizioni fino al massimo consentito di sette anni.
Nei discorsi riguardo al referendum sull’uscita dall’ UE da parte della Gran Bretagna rientrano anche argomenti contrari alla libertà di movimento dei cittadini europei all’interno dell’Unione? L’indipendentismo scozzese ha un qualche legame con l’atteggiamento “euroscettico” di Londra?
Al momento il referendum è solo un’ipotesi. Il premier Cameron ha annunciato che lo proporrà in caso di vittoria da parte del partito conservatore alle elezioni parlamentari del 2015.
Petru Clej [nella foto, a Istanbul] è dal 2009 corrispondente di Radio France Internationale Romania (rfi.ro) a Londra. Collabora inoltre con: BBC News, Jewish Chronicle, Hotnews.ro, contributors.ro e Reporter Virtual. Ha lavorato nella redazione romena della BBC tra il 1991 e il 2008 (dal 2000 al 2008 come capo redattore). Nel 2007 ha lavorato per otto mesi al sito web di notizie BBC News. In Romania, è stato negli anni 1990 – 1991 redattore del quotidiano România liberă.
Nota: la versione originale romena di questa conversazione può essere letta sul quindicinale Ora României di Torino.
Articoli correlati: Robert Rowthorn, What can Cameron really do about Bulgarian and Romanian immigration?, The Guardian
Mobilità in aumento dall’Italia verso la Romania
Recenti indagini analizzano i flussi migratori attraverso la posta elettronica e Twitter
Si emigra dall’Italia verso la Romania: è questa una delle novità emerse da uno studio su 100 milioni di account Yahoo di tre ricercatori, tra cui l’italiano Emilio Zagheni del Queens College di New York e il romeno Bogdan State della Stanford University, presentato alla International Conference on Web Search and Data Mining (WSDM 2013) svoltasi a Roma la settimana scorsa, che ha creato un vero e proprio “barometro” delle migrazioni nel mondo. [Il terzo coautore della ricerca è Ingmar Weber del Centro di Ricerca Yahoo! di Barcelona, n. FIRI].
“Rispetto a statistiche ufficiali abbiamo notato che alcune delle destinazioni più gettonate sono rimaste simili (Germania, Regno Unito, Stati Uniti)”, spiega Zagheni.
“La maggiore differenza che abbiamo osservato è che la Romania è entrata a far parte delle destinazioni top dall’Italia. Pensiamo che ciò possa essere un segno di migrazione di ritorno, o di cresciuta integrazione demografica tra i Paesi”.
I ricercatori hanno studiato le posizioni geografiche degli utilizzatori e hanno generato una mappa globale della mobilità internazionale per il periodo 2011-2012. Dalla ricerca si è visto che gli Usa dominano tra le destinazioni globali dei migranti, ricevendo persone da 58 Paesi sui 132 esaminati (44%), seguiti da Gran Bretagna, Francia, India e Australia.
Lo studio ha anche individuato dei “corridoi di migrazione” prima sconosciuti, ad esempio tra Cuba e il Venezuela, o tendenze in atto come la nascita di nuovi hub dell’immigrazione in Asia: “Uno dei prossimi passi è sperimentare l’approccio con dati Twitter – spiega l’esperto – pubblici e disponibili in tempo reale”. Il metodo, sottolineano gli autori nelle conclusioni, potrebbe ’aiutare’ quelli ufficiali: “Le statistiche ufficiali sono basate su definizioni contraddittorie – spiegano – il web invece ha una dimensione univoca, e una volta che si è data una definizione di migranti le stime si possono ottenere in maniera chiara”.
Fonte: Immigrazione Oggi.
Zoom. Alla scoperta della Romania
[zoom]
Alla scoperta della Romania
di Valentina Elia
Globalizzazione e pregiudizi
Gadamer sosteneva che la vera grande ricchezza del continente europeo fosse semplicemente la sua capacità di essere un mosaico di diversità. Lo slogan stesso dell’Unione Europea, “Uniti nella diversità”, sembra risaltare e convalidare queste parole, suggerendo l’idea di un insieme di Stati aperti all’alterità. Ma è davvero proprio cosi? La diversità non viene più percepita come un pericolo o come una minaccia per la nostra identità? Difficile dirlo.
Potremmo cercare di analizzare la questione alla luce di complesse teorie sociologiche o filosofiche circa il rapporto Io-Altro che tanto ha interessato intellettuali appartenenti ai più disparati periodi storici.
Ma, in realtà, attraverso questa rubrica, non a caso chiamata Zoom, cercheremo di comprendere tale rapporto, le difficoltà, i limiti e i pregiudizi che inevitabilmente si porta dietro, da una prospettiva particolare. La mia esperienza personale.
Parlerò di una studentessa italiana di Lingue e letterature straniere, che un bel giorno decide di armarsi di bagagli e tanta curiosità e di trasferirsi per sei mesi in Romania.
Cercherò di portare alla luce una realtà delle cose che a volte fa a pugni con i pregiudizi della gente, un concetto di diversità ancora lontano dall’essere considerato un valore positivo e barriere fisiche, oramai invisibili in un mondo globale come il nostro, sostituite da barriere psicologiche, altrettanto invisibili, ma molto più grandi, che ci separano dagli altri.
Riduzione di distanze fisiche da un lato, quindi, ma fortificazioni di pregiudizi e identità dall’altro.
La globalizzazione, con le sue innumerevoli trasformazioni in ambito sociale, politico, economico e culturale, lancia delle sfide, costringendoci a ripensare, e, in alcuni casi a ridefinire, la nostra visione del mondo. E all’interno di tale scenario internazionale, l’Europa che ruolo svolge, considerando anche la crisi dello Stato-nazione?
Analizzando le due questioni, saremo inevitabilmente posti dinanzi a interrogativi a cui a volte non verranno date delle risposte, ma che costituiranno comunque spunti di riflessione.
Iniziamo quindi questo nostro viaggio insieme.
Noi e la studentessa con la valigia in mano per le strade di Iași…
Alla scoperta della Romania
1 Settembre 2008. Ore 10 del mattino. Aeroporto di Roma.
Lì, seduta in attesa del volo che mi portasse a Bucarest, mi domandavo, per l’ultima volta, se fossi certa di aver preso la decisione giusta.
Si trattava di fare un bel salto nel buio. E, forse, anche se un po’ tendevo a nasconderlo, mi spaventava l’idea di vivere per i successivi sei mesi in una nazione totalmente sconosciuta, e, per di più, con lati oscuri rimarcati più volte dai mass-media.
Ricordo che proprio quell’estate la televisione ci bombardò con fatti di cronaca nera. Lo scenario era sempre lo stesso: uomini e donne, di nazionalità rumena, legati alla criminalità.
Assassini, violentatori di donne, ladri, imbroglioni, violenti ed ubriachi. Sembravano tutti sinonimi di uno stesso termine. Romania. O almeno questo è quello che i mass-media ci spingevano a credere, alimentando cosi pregiudizi e intolleranze a volte covate sotto la cenere.
I riflettori portavano alla luce le violenze, le trasgressioni e le infrazioni di un popolo, ospite ingrato sul nostro territorio, togliendo voce, invece, a quella parte onesta e amante del lavoro, che ogni giorno si prendeva cura dei nostri cari con pazienza e devozione, che lavorava i campi, e che decideva ogni singolo giorno di esser parte attiva della nostra società.
Leggevo la paura negli occhi dei miei genitori, soprattutto di mio padre. Non deve esser semplice scacciare i pregiudizi e i cattivi pensieri quando ad essere coinvolta è una persona a te cara.
Ma forse fu proprio questa loro paura, e la mia voglia di dimostrare che potevo farcela anche da sola, anche a chilometri di distanza, anche in mezzo a una marea di pregiudizi, a darmi la spinta necessaria per prendere la valigia in mano ed imbarcarmi.
Ad attendermi, dopo un’ora e mezza di volo, una grigia Bucarest, e un taxi.
Al di là del finestrino si succedevano una serie di immagini, a volte familiari, e altre volte completamente nuove e strane per gli occhi di una giovane studentessa italiana che non aveva mai messo piede al di fuori della propria realtà ovattata. Capannoni di legno semi distrutti, bestiame per strada e, di tanto in tanto, ragazzini dall’aspetto schernito, simboli di una faccia della medaglia, e divenuti poi costanti della mia permanenza in Romania. Ma questo l’avrei capito solo in seguito.
Un viaggio interminabile, poi l’arrivo, finalmente, a Iași.
Il sole, tanto verde e fiori intorno a me, un immenso studentato, un portinaio super disponibile e giovani provenienti da ogni angolo della terra sono i miei primi ricordi.
Ma anche la paura o forse la speranza di scoprire una nuova realtà. La si leggeva nei miei occhi e in quelli di tutti i ragazzi Erasmus di quella stagione…
Due facce di una stessa medaglia. Insomma, una Romania ancora tutta da scoprire.
Valentina Elia ha studiato all’Università di Bari, dove ha conseguito la laurea triennale, in lingue e letterature straniere, e quella magistrale, in lingue moderne per la cooperazione internazionale. Tra le lingue studiate, il romeno, che ha approfondito in un soggiorno di sei mesi a Iași. Ha collaborato con associazioni impegnate nell’integrazione degli immigrati. Dal 1 febbraio 2013, fa parte della redazione del sito web di FIRI. Vive a Grottaglie, nella provincia di Taranto.
“Dalle tombe alle culle”
Viene qui riprodotto il testo dell’intervento di Julia Holloway in occasione della presentazione del progetto MoveAct (“L’Europa siamo noi? Vivere in Italia da cittadino europeo”) all’auditorium dell’Istituto Stensen di Firenze, sabato 15 dicembre scorso:
Dalle tombe alle culle
di Julia Bolton Holloway
Amo molto l’Italia. Sono arrivata in Toscana per rimanervi dall’Inghilterra nel 1996 dopo il mio prepensionamento in America, dove ho insegnato in diverse università. Accolta come studiosa e come religiosa, nel 2000, mi sono state affidate la custodia e la cura del Cimitero degli Inglesi, proprietà della Chiesa Evangelica Riformata Svizzera, che ospita anche la Mediateca ‘Fioretta Mazzei’, biblioteca fondata quello stesso anno. Patrimonio mondiale dell’umanità, nel Cimitero degli Inglesi in Piazzale Donatello molti dei sepolti hanno legato il proprio nome alla lotta contro la schiavitù e lo schiavismo; contro la schiavitù dei neri in America, a favore delle donne e dei bambini, contro l’oppressione dei popoli. E’ una forte testimonianza del cosmopolitismo della Firenze ottocentesca, con i suoi abitanti inglesi, svizzeri, russi, americani, rumeni, polacchi, ungheresi, greci, ecc.
Con la conoscenza e la frequentazione dei Rom rumeni in un percorso di aiuto e sostegno alle famiglie ho scoperto ancora viva in loro quell’artigianalità e maestria che sarebbero state necessarie al restauro del nostro famosissimo cimitero. Un cimitero in stato di abbandono e che per diversi anni non era visitabile. I Rom sono bravissimi fabbri e muratori, falegnami e giardinieri. A loro insegno i rudimenti dell’alfabeto. Per loro nel corso di questi anni sono stati creati e avviati programmi di inserimento lavorativo per il suo restauro e mantenimento inseriti nel progetto denominato ‘Dalle tombe alle culle’.
Gli stessi Rom, schiavi nei monasteri e dei nobili dal Medio Evo fino all’Ottocento, conoscono la libertà nel 1856 – quando Uncle Tom’s Cabin di H. Beecher Stowe è tradotto in rumeno. Con i nobili discendenti inglesi e gli studiosi internazionali, dopo aver appreso a scrivere il proprio nome, alcuni divengono soci della nostra Aureo Anello Associazione. E i nostri soci internazionali approvano. Lavorano in tal modo legalmente senza più mendicare per le strade di Firenze.
Successivamente in Romania nasce l’associazione gemella denominata Agrustic Somnacuni, ovvero “Aureo Anello” (‘Inel de aur’ in rumeno), associazione per preservare le famiglie rom e la lingua romanì.
Esmeralda che ora frequenta la nostra Scuola di Alfabetizzazione la domenica, e la scuola ufficiale nei giorni feriali, ha dieci anni e ha appreso le moltiplicazioni e come leggere. Per caso, cercando lei di leggere l’italiano medievale dal mio computer, mentre lavoravo sul Tesoro di Brunetto Latino – maestro di Dante Alighieri – è riuscita a leggere perfettamente la sezione in cui Brunetto traduce l’Etica di Aristotele sulla giustizia. Questa dopo solo un anno di scuola! E l’italiano è la sua terza lingua, dopo il romanì e il rumeno!
Mi perdonerete se non parlo della mia esperienza, di me cittadina britannica ed europea. Di me persona privilegiata. Credo sia più giusto parlare della loro esperienza come cittadini del mondo, la cui lingua ha una forte affinità con il sanscrito. Lingua dell’India che ritroviamo parlata dai Rom in Europa, in America, in Asia, in Australia. Un popolo senza un Paese. Senza un esercito. Che ha vissuto l’Olocausto.
Dalla mia posizione privilegiata con queste persone – tra le più disprezzate – posso dire di aver trovato un Tesoro. Un Tesoro nella nostra bellissima città. Sono grata all’Italia, a Firenze, ai Rom, alla Romania.
Daniel-Claudiu Dumitrescu, Presidente dell’Asociazione Agrustic Somnacuni – Inel de Aur, lavorando con il CNR ha eseguito la pulitura della nostra bellissima scultura dell’Allegoria della Speranza di Odoardo Fantacchiotti. Credo che questi progetti, con la valorizzazione dei monumenti, dei popoli, della storia, dell’arte, delle culture, siano la nostra speranza.
La speranza per l’Italia, per l’Europa, per il mondo intero.
Suor Julia Bolton Holloway è eremita nel Cimitero degli Inglesi a Firenze. Nata in Inghilterra, ha studiato negli Stati Uniti e ha insegnato letteratura medievale nelle università di Berkeley, Quincy, Princeton e Boulder. Ha pubblicato diversi libri su Dante e le donne contemplative. E’ curatrice dei siti web www.florin.ms, www.umilta.net, www.ringofgold.eu.
La Cortina di Ferro e i paradossi della mobilità
La Cortina di Ferro e i paradossi della mobilità
di Horia Corneliu Cicortas / FIRI
Viene qui riprodotto il testo dell’intervento di Horia Corneliu Cicortas alla presentazione del progetto MoveAct all’auditorium Stensen di Firenze, sabato 15 dic. 2012:
Cercherò di essere breve e, come diceva prima la collega Anna Triandafyllidou, resterò anch’io nell’ambito delle riflessioni soggettive, per rendere più interattiva e interessante questa tavola rotonda conclusiva.
Ma prima di iniziare, vorrei fare i miei complimenti al regista del film che abbiamo visionato, perché secondo me è riuscito a trasmettere non solo informazioni interessanti, ma anche belle emozioni.
E anche una piccola osservazione, per ricollegarci a quanto era stato detto in precedenza da Luca Raffini circa la scarsa partecipazione dei cittadini europei nei paesi di residenza all’estero. Ecco, secondo me dobbiamo stare attenti ai dati statistici, perché c’è la categoria degli “ex-stranieri”, ovvero stranieri naturalizzati italiani, per esempio tramite matrimonio o altro, che magari vanno a votare, ma lo fanno come italiani. Per cui, questi dati potrebbero non essere registrati, quindi potrebbero sfuggire alle statistiche riguardanti la partecipazione dei cittadini UE alle elezioni – comunali o europee – nel paese di residenza.
Detto ciò, vorrei fare un passo indietro nella storia recente, condividendo con voi una breve riflessione che chiamerei “La Cortina di Ferro e i paradossi della mobilità”, partendo dalla mia esperienza personale. Devo dire, innanzitutto, che nel 1991 quando venni in Italia, e nei anni successivi, durante la mia esperienza di studente universitario, la mobilità – anche universitaria – dall’Est verso l’Ovest era minima, direi quasi inesistente. Il programma Erasmus non coinvolgeva ancora i Paesi dell’Europa centro-orientale, che si erano appena liberati dal comunismo di stato. E quindi, per chi come me si trovava a studiare da straniero in Italia, non c’erano né borse Erasmus, né borse per merito, niente. Mi ricordo anche il meccanismo buffo con cui, ad esempio, si stabiliva l’entità delle tasse universitarie da pagare. Ad un certo punto, verso la metà degli anni Novanta, erano state introdotte fasce di reddito in base alle quali bisognava pagare le tasse. E così, quando andai a pagare le tasse di quell’anno, l’addetto della segreteria guardò una tabella della Banca Mondiale, dove la Romania risultava tra i paesi a “reddito medio”, così venni inserito nella “fascia media” e dovetti pagare un milione di lire, che a quei tempi era una certa somma. Senza considerare che la fascia media di reddito italiana era diversa dalla fascia media di reddito calcolata dalla Banca Mondiale…
In seguito, verso la fine degli anni Novanta, con l’avanzare del processo di integrazione dei paesi dell’Est, la mobilità è aumentata, e ci sono state più opportunità sia per gli studenti sia per chi veniva a cercare lavoro e opportunità migliori di vita nei paesi dell’Europa occidentale, quindi anche in Italia. Negli anni duemila, questo fenomeno ha raggiunto nel caso della Polonia e della Romania proporzioni di massa, in cui erano coinvolte folle di emigranti in cerca di lavoro nei paesi dell’ovest. Nel frattempo, anche la mobilità universitaria, come appunto quella del programma Erasmus, si è ulteriormente sviluppata, sia all’interno dell’Europa occidentale, sia dall’Est verso l’Ovest, sia anche dall’Ovest verso Est, anche grazie alle facilitazioni dei voli low-cost e della maggiore libertà di circolazione dei cittadini comunitari.
Ora, la cosa curiosa è che, mentre prima dell’89 la mobilità tra est e ovest era impedita dalla Cortina di Ferro, ma esisteva e stava crescendo nell’Europa occidentale, all’interno dei rispettivi Stati. E invece, probabilmente per una scelta dei gruppi dirigenti di questi paesi, la mobilità transnazionale non è stata favorita. La mobilità si riduceva a sporadici contatti tra i rappresentanti delle imprese o “scambi di esperienza” tra esponenti di partito; nemmeno il turismo non era così facile o diffuso come si potrebbe pensare. Ricordo la mia prima visita – di un giorno – nella vicina Ungheria, nel 1982. Era una gita scolastica fatta in un paese che era comunista come il nostro e quindi “amico”. Eppure, siamo stati fermi alla dogana, da una parte e dall’altra, più di due ore, per dei controlli estenuanti degni del confine tra il Messico e gli Stati Uniti!
Dunque, prima del 1989, la mobilità era scarsa all’interno dei paesi dell’Europa centro-orientale, e esigua – per le misure restrittive delle libertà individuali, come la difficoltà di avere il passaporto, la libertà di viaggiare o emigrare ecc. – tra i Paesi dell’Est e l’Europa occidentale; ovviamente, ci sono state delle eccezioni e dei periodi più liberali, di maggiore apertura, anche nei paesi comunisti più chiusi, come per l’appunto la Romania di Ceausescu.
Dopo la caduta del Muro di Berlino, che separava i due emisferi del continente, i rapporti est-ovest sono stati ripresi e la mobilità verso ovest è andata crescendo sempre di più, coinvolgendo tutti i paesi ex-comunisti. Ma, anche oggi quando molti di questi paesi fanno ormai parte dell’Unione Europea, la mobilità est-est è ancora molto ridotta rispetto alla mobilità est-ovest e anche rispetto alla mobilità ovest-est, che è comunque un fenomeno in crescita. In altre parole, è come se tutti noi dell’Est ci fossimo rivolto esclusivamente gli sguardi verso Occidente, senza guardarci attorno a noi. Ovviamente, c’è un fascino, un’attrazione dell’Europa occidentale che è dovuta alla sua importanza politica ed economica, al prestigio culturale, alle opportunità migliori e così via, tutti aspetti innegabili, ma secondo me ci sono anche altre cause che spiegano questa immobilità est-est. Alcune derivano sicuramente dalla situazione pre-’89 che, come abbiamo visto, non ha favorito la mobilità, ma l’ha quasi vietata o scoraggiata. Ci sono anche altri fattori attuali. L’Unione Europea ha ricevuto quest’anno il premio Nobel per la Pace, per i suoi risultati di pacificazione e benessere realizzati nel dopoguerra; e un politologo americano ha affermato che, negli ultimi 500 anni, l’evento storico più importante per l’Europa dell’est è stata l’integrazione nell’Unione Europea.
Dobbiamo però ricordarci che, tutt’oggi, ci sono situazioni ancora da ‘bonificare’, come quella della regione balcanica coinvolta dalle guerre degli anni Novanta, situazione solo in parte risolta con l’integrazione della Slovenia nell’Unione Europea, cui seguirà quella della Croazia. Ma finché le ferite delle guerre balcaniche non saranno risanate completamente, e non saranno realizzate le infrastrutture di collegamento regionale, è difficile che l’Europa orientale diventi una realtà più “duttile” dal punto di vista della mobilità al suo interno. D’altra parte, anche se volessimo procedere con l’Unione Europea verso un progetto più integrato, di tipo federale o “Stati Uniti d’Europa”, è chiaro che non potremo arrivare – per motivi di diversità di storia, di culture, di lingue – a un caso simile agli Stati Uniti d’America, ma penso che nemmeno a realtà multiculturali come l’Australia, i cui modelli non sono applicabili in Europa.
Infine, per paesi come la Romania, la Polonia e i Paesi Baltici, l’esistenza al confine orientale dell’UE di Stati ancora problematici, come la Russia, la Bielorussia o l’Ucraina, crea ancora insicurezza e bisogno di affidarsi alle strutture di protezione occidentali, come la Nato.
Per cui, io penso che solo quando la democrazia si instaurerà stabilmente nei Balcani e in questi Paesi attualmente ai confini orientali dell’Unione Europea, potremo parlare di un continente davvero unificato.
Grazie per la vostra attenzione.
“Vivere in Italia da cittadino europeo”, presentazione a Firenze del progetto MoveAct
sabato 15 dicembre 2012, ore 17.00, Auditorium dell’Istituto Niels Stensen, Viale Don Minzoni 25/C, Firenze: “L’Europa siamo noi? Vivere in Italia da cittadino europeo” presentazione del Progetto Moveact (Università degli Studi Gabriele D’Annunzio di Chieti-Pescara).
In programma, oltre al saluto di benvenuto del Presidente della Commissione Affari Istituzionali del Comune di Firenze, Valdo Spini, la presentazione della ricerca di Ettore Recchi (Coordinatore del Progetto Moveact) e Luca Raffini (Università degli Studi Gabriele D’Annunzio di Chieti-Pescara).
Alle 17:30 la proiezione in prima assoluta del documentario “Something for tomorrow – nove racconti europei”, alla presenza del regista Alberto Bougleux (che vive e lavora a Barcellona). Il film è un viaggio di immagini e voci di europei del Nord e dell’Est che vivono nel Sud del continente (dalla Costa del Sol al mezzogiorno italiano ad Atene). Voci dissonanti, di un’Europa vissuta sulla propria pelle, fatta di lingue, abitudini, progetti personali, anziché di spread, veti incrociati, discussioni sulle Banche Centrali. Un viaggio pieno di umanità, a volte malinconico a volte sognante, che smonta luoghi comuni e pregiudizi e rinnova il senso profondo dell’Europa unita.
Alle 18:00 tavola rotonda con Anna Triandafyllidou (Istituto Universitario Europeo), Maria Gratkowska Scarlini, Presidente dell’Associazione Culturale Italo-Polacca in Toscana, Horia Corneliu Cicortas, Presidente di FIRI (Forum degli intellettuali romeni d’Italia) e Julia Bolton Holloway, President Aureo Anello, Jeroen Moes, Fraternité 2000.
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In Italia risiedono circa un milione e mezzo di cittadini europei non italiani. Due terzi di loro sono romeni, ma numerosi sono anche i polacchi, i bulgari, i tedeschi e gli inglesi. In provincia di Firenze si contano 18.000 romeni, 2.200 polacchi e circa un migliaio di inglesi e tedeschi (una quota dei quali tuttavia vivono in Toscana senza prendervi la residenza). Come cittadini europei, hanno gli stessi diritti degli italiani, anche in politica (salvo il voto alle elezioni del parlamento di Roma). E tuttavia la loro visibilità pubblica è modestissima. Alle ultime elezioni del parlamento europeo, nel 2009, i cittadini comunitari iscritti alle liste elettorali aggiunte sono stati pari a meno del 5%. La partecipazione alle elezioni municipali è più alta, ma sempre ridotta. Perché? Cosa li frena? E non sarebbe una buona idea coinvolgerli di più nel gioco politico locale e, perché no, anche nazionale?
La ricerca MOVEACT suggerisce come promuovere una partecipazione attiva degli stranieri comunitari, al fine di costruire una democrazia europea dei cittadini. Un loro maggiore coinvolgimento potrebbe arricchire i circuiti della rappresentanza, portando sulla scena nuove sensibilità e progetti in un momento storico in cui le istituzioni politiche nazionali e la stessa Unione Europea soffrono una delle crisi di legittimità più profonde della loro storia.
Uno dei curatori del progetto Moveact, Luca Raffini ha spiegato per la redazione FIRI alcuni risultati della ricerca.
FIRI: Da più parti si sente parlare di Stati Uniti d’Europa, anche se l’Unione Europea fatica a salvare la moneta unica e ad agire in modo coeso sul piano geo-strategico internazionale. Quali sono state le principali conclusioni emerse dalla ricerca, per quanto riguarda l’evoluzione attuale della mobilità dei cittadini europei?
Luca Raffini: È prevedibile che la crisi economica attuale determini un mutamento delle dinamiche di mobilità intra-europee. La nostra ricerca non è di tipo demografico, ma concentrata sulla dimensione della cittadinanza, non abbiamo quindi dati approfonditi in tal senso. Possiamo comunque dire che ad oggi i flussi che continuano ad essere più rilevanti sono quelli dai paesi dell’Europa dell’est, tra cui la Romania ha un peso rilevante, verso i paesi dell’UE occidentale, con una significativa rilevanza dei paesi dell’Europa meridionale, Italia e Spagna in primo luogo, che sono meta preferita proprio dai romeni. Ciò che è interessante osservare è che se il flusso est-ovest aveva sostituito il precedente flusso sud-nord, con la crisi quest’ultimo canale si riapre. In particolare, i paesi più colpiti dalla crisi, come Grecia e Spagna, stanno tornando ad essere paesi di emigrazione: i flussi tra Grecia e Germania sono raddoppiati tra 2010 e 2011 e quelli tra Spagna e Germania sono aumentati del 50%. Un simile fenomeno non sta riguardando, invece, l’Italia.
A fronte di una debolezza dell’UE sul piano dell’integrazione politica, la libertà di circolazione resta il vero carattere distintivo dell’integrazione europee. Il diritto di libera circolazione viene quindi praticato dagli individui, e tra loro da un numero cospicuo di giovani, per cercare migliori opportunità lavorative, determinando flussi differenziati e incrociati, rendendo, per esempio, alcuni paesi sia mete sia luoghi di partenza.
MOVEACT_Stensen (programma in pdf)