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Quando il coraggio si veste di rosa
di Valentina Elia, FIRI
Domenica scorsa, all’età di cento anni, si è spenta Mariana Drăgescu, una donna forse sconosciuta a molti qui in Italia, ma venerata quasi fosse un eroina in Romania.
Eppure questa donna, pilota della Squadriglia Bianca operante nel drammatico periodo del Secondo Conflitto Mondiale, personifica valori che non conoscono barriere, né confini geografici.
Alcuni membri appartenenti all’Aeronautica Militare Romena, appresa la notizia della scomparsa, hanno affermato: “Mariana Drăgescu è stata la personificazione del coraggio, del sacrificio e un esempio di vita”.
Una donna che sin da giovane ha donato la propria vita agli altri: appassionata di aviazione, ha frequentato la Scuola di pilotaggio “Mircea Cantacuzino” per ottenere nel 1935, a soli 23 anni, il brevetto di pilota.
Una donna certamente rivoluzionaria per quei tempi. Una delle prime ad aver ottenuto la qualifica di pilota in Romania. E una donna coraggiosa e temeraria, che non si è sottratta alla richiesta di sacrificio e responsabilità che l’inizio del conflitto imponeva.
Follemente innamorata del suo lavoro, Mariana Drăgescu entrò a far parte della Squadriglia Bianca, ovvero un’unità di aeromobili sanitari, completamente pilotata da donne: Irina Burnaia, Marina Stirbei, Virginia Dutescu e Nadia Russo.
E in un cielo dipinto di rosa echeggiava il coraggio di queste donne, che seppure con molte difficoltà e spesso rischiando in prima persona, hanno salvato la vita di molti militari di quel periodo, e non solo. Un coraggio e una determinazione che parla al femminile, e che nemmeno la durezza e la violenza del comunismo, associati a ben sette lunghi anni di carcere, riuscì a spezzare.
Una donna dalla personalità incredibile, travolgente, in grado di diffondere forza ed energia attorno a sé e la cui assenza ora non può che lasciare un vuoto immenso.
Una donna da non dimenticare, neppure tra altri cento anni.
Una donna da far conoscere in tutto il mondo, perché cento anni di silenzio andrebbero interrotti.
Una marcia in più
Bucarest. Una marcia in più
di Valentina Elia, FIRI/zoom
Ad uno straniero Bucarest può incutere paura.
Ricordo ancora il giorno in cui, dopo ore interminabili di treno dalla ridente e piccolina Iași, mi ritrovai a respirare l’aria metropolitana di Bucarest.
Come succede con quasi tutte le grandi capitali, ci si sente quasi sopraffatti dall’ampiezza degli spazi, dalle strade larghe e trafficate, dagli edifici imponenti. Ma Bucarest ha qualcosa in più.
È strano, ma le parole sembrano quasi incapaci di descrivere la sensazione che provavo.
Mi sembrava di essere intrappolata, in uno spazio senza tempo, tra passato e futuro.
Appena uscita dalla stazione ad accoglierti vi è una città completamente moderna, con i suoi grattacieli enormi che parlano di una nazione completamente immersa nello sviluppo e che cerca di rinascere dalle ceneri di un passato pesante, difficile e che ancora fa male. Un passato, quello comunista, che ironicamente però si continua a respirare camminando per le strade di Bucarest.
Le strade, i palazzi, lo stesso attuale Palazzo del Parlamento [sullo sfondo nella foto a destra] costruito dal dittatore comunista Nicolae Ceaușescu, fanno precipitare il turista in un passato doloroso per chi lo ha vissuto, ma quasi incomprensibile per i più.
Bucarest si presenta quindi come un immenso libro di storia, pronto per essere sfogliato e consultato da chiunque voglia lasciarsi trasportare dalla sua magia, forse a tratti un po’ amara, ma reale, tangibile.
Ed è proprio questa la più grande caratteristica della Romania, e qui in particolare di Bucarest, che più volte ho citato in questa rubrica: l’avere una doppia faccia, da una parte la voglia di andare avanti e, dall’altra un passato che come sabbie mobili trattiene senza lasciar via d’ uscita.
Due forze contrastanti, ma una marcia in più.
A marzo in “Orizzonti culturali italo-romeni”
ORIZZONTI CULTURALI ITALO-ROMENI (n. 3, marzo 2013, anno III),
mensile online bilingue; per l’edizione romena, cliccare qui.
Edizione italiana
Mons. Bercea: Ioan Ploscaru, martire della persecuzione comunista
Arrestato nel 1949, chiuso per quindici anni nelle carceri comuniste, sorvegliato fino al 1989 dalla Securitate, il vescovo greco-cattolico Ioan Ploscaru è una personalità emblematica della comunità cristiana romena, segnata in tutte le sue confessioni dalla testimonianza di uomini che hanno pagato cara la loro fede in Cristo. Di recente è stato pubblicato in Italia il libro-testimonianza di Mons. Ploscaru, Catene e terrore. Un vescovo clandestino greco-cattolico nella persecuzione comunista in Romania (EDB, Bologna). Mons. Virgil Bercea, vescovo di Oradea, ne firma la prefazione.
Chiese romene in Italia, più vicine ai nostri immigrati. Parla P. Barbolovici
Il 16 marzo si terrà a Padova la presentazione del libro Catene e terrore di Ioan Ploscaru, organizzata da P. Vasile Alexandru Barbolovici. L’evento offre l’occasione per un dialogo sull’attuale situazione della Chiesa greco-cattolica romena, e non solo: «La Chiesa romano-cattolica italiana ha messo a disposizione degli immigrati romeni greco-cattolici e ortodossi molti luoghi di culto, esempio concreto di carità verso chi ha deciso di crearsi in Italia un futuro migliore. Noi pastori dobbiamo cercare di stare vicini ai nostri emigrati in ogni aspetto della vita, non soltanto in quello religioso».
Poesia è semplicità: Umberto Saba in Romania, a 130 anni dalla nascita
Il poeta Umberto Saba è conosciuto in Romania grazie a traduzioni pubblicate su varie riviste e a tre antologie (1944, 1970 e 2009). La più recente e complessa silloge, La capra e altri poemi / Capra şi alte poeme, è edita da Humanitas nella prestigiosa Biblioteca Italiana, a cura di Smaranda Bratu Elian, con traduzione e postfazione di Dinu Flâmând. «Un messaggio etico di semplicità e umiltà emerge dall’intera opera di Saba, la cui grandezza sta nella convinta adesione alla realtà, nei contenuti e nel linguaggio, insieme colto e semplice». Così Margherita Ganeri nella prefazione.
Fabio Stassi: «Credo nell’utopia di una letteratura libera e cosmopolita»
«Mi piacerebbe essere in qualche modo considerato uno scrittore siciliano, tunisino, cartaginese, albanese, sudamericano e forse anche romeno, un uomo che appartiene al nostro tempo meticcio. Continuo a credere, in maniera infantile, nell’utopia di una letteratura che abbia ancora al centro il personaggio-uomo, e che sia libera, e cosmopolita». Così Fabio Stassi, scrittore, che si presenta sulla scena culturale romena con il suo libro L’ultimo ballo di Charlot (Sellerio Editore 2012, ora in uscita presso Polirom). Cerasela Barbone, la traduttrice, lo ha intervistato.
«La poesia è anzitutto una forma di speranza». Versi di Octavian Paler
Octavian Paler (1926-2007), personalità di spicco della cultura romena, è noto prevalentemente come scrittore e saggista, ma la sua opera conosce anche il linguaggio della poesia. Magda Arhip ne traduce per noi alcuni passaggi, mentre Giovanni Rotiroti ci segnala che in questa poesia «vengono a raccogliersi suggestioni memoriali, segni culturali, allusioni sentimentali, che racchiudono l’ostinata ricerca di una forma mitica, di un’immagine appropriata che, oltre a rinviare a se stessa, riproduce l’idea, la raffigurazione di verità che il sacro tradizionalmente contiene».
Il Salinger romeno: Constantin Fântâneru e il suo «Interno»
Constantin Fântâneru (1907-1975) è il grande dimenticato e il grande solitario (a ragione gli è stato affibbiato l’appellativo de «il Salinger romeno») della straordinaria stagione letteraria romena del periodo interbellico. Scrittore avvolto nel mistero, rappresenta la primissima voce, la punta di diamante di quella generazione di intellettuali e di giovani scrittori (Cioran, Eliade, Ionesco, Blecher) che cominciavano a tracciare un solco di rinnovamento nella cultura romena del ’900. A cura di Mauro Barindi, proponiamo un frammento del suo romanzo Interior (Interno).
Matei Vişniec e la poetica del ‘teatro decomposto’
Della drammaturgia di Matei Vişniec, noto per la sua attività in Francia, è uscito nel 2012 ‘La storia del comunismo raccontata ai malati di mente’ e altri testi teatrali (Editoria&Spettacolo Edizioni, collana Percorsi, saggio introduttivo e cura di Emilia David). Una introduzione al teatro modulare di Vişniec ci viene proposta da Emilia David, che segnala in tale opera microtesti riuniti in sequenza successiva come ‘moduli teatrali da comporre’, instaurando un’estetica della ricerca e della creazione destinata alla variabile riconfigurazione dei «tasselli» e ad un processo creativo con esiti sempre differenti.
Invito alla storia: il nuovo Atlante Storico Zanichelli 2013
Un avvincente invito alla storia, dove vicende, personaggi, congiunture, implicazioni si squadernano lungo i secoli e tra le latitudini, mentre il lettore è invitato e rimandato, dalla ricchezza di efficaci spunti, all’esigenza di approfondimenti su questo o quell’aspetto. È l’offerta dell’Atlante Storico 2013 edito da Zanichelli (Bologna 2012), opera in due volumi più dvd, che spazia dalla preistoria ai nostri giorni. E la Romania? La troviamo richiamata sempre e inevitabilmente in contesti di relazioni e vicende sovranazionali. Recensione di Giovanni Ruggeri.
Per una storia dei friulani in Romania. La comunità di Craiova
Elena Pîrvu evoca la storia della comunità italiana di Craiova, stanziatasi in questa città e dintorni a partire dal 1850. Il flusso migratorio, proveniente in gran parte dal Friuli, proseguì fino agli anni ’30 del Novecento, quando la comunità friulana raggiunse dimensioni ragguardevoli. Dopo il 1948, i provvedimenti restrittivi del regime comunista colpirono anche gli italiani, che furono privati di passaporto e cittadinanza. Nel settembre del 1991, dopo quarant’anni, la Comunità italiana di Craiova si è riorganizzata con il nome di «Comunità Italiana dell’Oltenia».
I «Versi esicasti» di Enrico DʼAngelo
Enrico D’Angelo, direttore della collana «I poeti della Smerilliana» delle Edizioni Di Felice, ha messo la sua nuova raccolta di poesie, Versi esicasti, sotto il segno della spiritualità ortodossa. Nella Lettera dalla Romania a un poeta italiano, Bruno Pinchard gli scrive: «Non vedo quale altra religione ti appartenga, se non quella dei poeti ed è proprio perché dal monastero sento risuonare le ore nellʼaria che vibra, che posso dirti che il tuo rito non è di convinzione, ma di perfezione; il tuo ritiro non è di contrizione, ma di assoluzione; la tua fede non è di confessione, ma di realizzazione».
Convegno internazionale di italianistica a Craiova. Call for papers
Il 20 e 21 settembre 2013 la sezione di Lingua e letteratura italiana della Facoltà di Lettere dell’Università di Craiova organizza il Convegno Internazionale Discorso e cultura nella lingua e nella letteratura italiana. La scadenza per l’iscrizione e per l’invio del titolo e del riassunto è il 30 giugno 2013.
Gran Bretagna: “I romeni sfortunati di arrivare qui per ultimi”
Intervista a Petru Clej, giornalista romeno che vive a Londra, sull’immigrazione in Gran Bretagna e sulla politica attuale britannica in materia di integrazione europea.
Redazione FIRI: Fino a non molto tempo fa, la Gran Bretagna sembrava essere meta “tranquilla” per gli emigranti romeni rispetto ad altri Stati europei, in cui l’immigrazione di massa, unita a fattori di politica interna, aveva portato a manifestazioni xenofobe e campagne anti-romene. L’eccezione britannica è legata solo all’accesso limitato al mercato del lavoro? Polacchi e cittadini dei Paesi Baltici hanno ricevuto lo stesso trattamento nel periodo 2004-2007?
Petru Clej: La Gran Bretagna, assieme all’Irlanda e la Svezia, è tra i primi Paesi ad aprire sin dal primo momento il mercato del lavoro ai cittadini degli otto Stati ex-comunisti, che nel 2004 hanno aderito all’UE.
Dopo l’Italia, anche la Francia di Sarkozy (2011) se l’è presa con i migranti romeni e con i rom, che fungono perfettamente da capro espiatorio nel momento in cui si parla di una crescita, reale o “percepita”, della micro-criminalità. In Gran Bretagna che peso hanno questi fattori sul discorso politico e mediatico riguardante l’immigrazione dall’Est Europa?
I romeni sono al secondo posto, dopo i polacchi, tra i residenti nel Regno Unito provenienti dai 26 stati UE, per il numero di reati commessi. Ma non è questo dato a motivare la tendenza a considerare i romeni come capri espiatori, quanto il fatto che dopo il 2004 siano giunti dall’Europa Centrale e dell’Est molti più migranti di quanto ci si aspettasse. Si può dire che i romeni subiscono questo trattamento perché hanno avuto la sfortuna di giungere qui per ultimi.
Esistono in Gran Bretagna, stampa e società, categorie di “good immigrants” e “bad immigrants” in questo momento? Naturalmente tralasciando gli immigrati percepiti come “buoni” in quanto pochi (come eravamo noi romeni all’inizio degli anni Novanta in Italia!)
Per prima cosa, stampa e società in Gran Bretagna non costituiscono un blocco che pensa in maniera omogenea. Successivamente, non pensiate che i romeni siano l’ombelico del mondo, per essere il bersaglio di un disprezzo generalizzato. La società britannica è pur sempre una multiculturale e multirazziale.
I Laburisti assumono una posizione differente rispetto ai Conservatori riguardo la questione Europa, e in particolar modo riguardo al diritto alla libera circolazione e al diritto al lavoro dei cittadini UE?
Il partito laburista era al potere nel 2007 quando la Romania ha aderito all’UE e quando il governo britannico ha esercitato il proprio diritto a introdurre restrizioni per l’accesso al mercato del lavoro. Il governo di coalizione conservatore-liberaldemocratico non ha fatto altro che prolungare queste restrizioni fino al massimo consentito di sette anni.
Nei discorsi riguardo al referendum sull’uscita dall’ UE da parte della Gran Bretagna rientrano anche argomenti contrari alla libertà di movimento dei cittadini europei all’interno dell’Unione? L’indipendentismo scozzese ha un qualche legame con l’atteggiamento “euroscettico” di Londra?
Al momento il referendum è solo un’ipotesi. Il premier Cameron ha annunciato che lo proporrà in caso di vittoria da parte del partito conservatore alle elezioni parlamentari del 2015.
Petru Clej [nella foto, a Istanbul] è dal 2009 corrispondente di Radio France Internationale Romania (rfi.ro) a Londra. Collabora inoltre con: BBC News, Jewish Chronicle, Hotnews.ro, contributors.ro e Reporter Virtual. Ha lavorato nella redazione romena della BBC tra il 1991 e il 2008 (dal 2000 al 2008 come capo redattore). Nel 2007 ha lavorato per otto mesi al sito web di notizie BBC News. In Romania, è stato negli anni 1990 – 1991 redattore del quotidiano România liberă.
Nota: la versione originale romena di questa conversazione può essere letta sul quindicinale Ora României di Torino.
Articoli correlati: Robert Rowthorn, What can Cameron really do about Bulgarian and Romanian immigration?, The Guardian
Mărţişor (1 Marzo) – festa romena della primavera
Il Mărţişor – „piccolo Marzo” o marzolino, associato al mese di martie (marzo) e al dio Marte – è una delle più rappresentative tradizioni romene e rappresenta il ritorno della primavera. Secondo i Traci, di cui facevano parte i Daci, gli attributi di marzo erano propri del dio Marsyas Silen, considerato l’inventore del flauto traverso, e il cui culto era legato alla madre terra e alla vegetazione. Le feste di primavera, dei fiori e della fecondità della natura erano consacrate a questo dio. Le origini della tradizione del Mărţişor sono narrate anche in una leggenda dacia legata a un’eclissi solare. Un giovane coraggioso si era recato a liberare il sole catturato da un drago. Dopo tre stagioni arrivò dove si trovava il drago, e combatterono. Il suo sangue colò sulla neve fresca, ed è da allora che il rosso e il bianco si intrecciano per combattere i mali dell’inverno e annunciare il ritorno alla vita della natura.
Un mărţişor di oggi è una finissima spiga formata da due fili di seta intrecciati, uno bianco e l’altro rosso, ai quali viene attaccata una piccola figurina di legno o metallo (un cuore, una lettera, un fiore, uno spazzacamino, un ferro di cavallo o un quadrifoglio), che diventa un portafortuna. Esso si porta all’interno delle giacche o attaccato al polso. Normalmente i mărţişor vengono offerti alle donne o ai bambini insieme a dei fiori primaverili (mughetti o violette).
Un tempo, il filo rosso bianco con un amuleto (uno scudo in oro o argento, una conchiglia) veniva legato dai genitori al polso dei piccoli, offerto dai giovanotti alle ragazze (e viceversa, in Moldavia), oppure scambiato tra ragazze con l’augurio di buona fortuna e di salute. I fili erano quasi sempre rossi e bianchi ma potevano anche essere neri e bianchi o d’oro e argento. Con il passare del tempo il piccolo scudo è stato sostituito da vari oggetti, in oro o argento, con degli amuleti dai significati più svariati, seri, sentimentali o divertenti.
Il mărţişor veniva regalato all’alba del 1° marzo e indossato per dodici giorni, a volte fino a quando fioriva il primo albero o sbocciava la prima rosa. A quel punto veniva appeso a un ramo fiorito con la speranza di vedere i fiori sbocciare tutto l’anno. A volte invece si continuava a portarlo nei capelli. In Dobrogea, veniva portato fino all’arrivo delle cicogne e quindi lanciato verso il cielo perché la fortuna fosse più “grande e alata”. Nei villaggi della Transilvania, il mărţişor rosso e bianco, di lana, era appeso alle porte, alle finestre, alle corna e ai recinti degli animali, ai secchi dei manici, per allontanare gli spiriti malefici e per invocare la vita, la sua forza rigeneratrice, attraverso il rosso, il colore della vita stessa. Nei villaggi di montagna il primo giorno di marzo era quello in cui le ragazze si lavavano con l’acqua della neve sciolta, per essere belle e bianche come la neve.
Il filo intrecciato del mărţişor, chiamato anche “la treccia dei giorni, delle settimane e dei mesi dell’anno” simboleggia dunque la coesione inseparabile degli opposti, lo scambio di forze – vitalità e purificazione – che generano gli eterni cicli della natura.
Mărţişor è il momento dell’anno in cui riconquistiamo speranza, ottimismo e fiducia. Buona primavera!