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L’immagine dei romeni in Italia, tra realtà e percezione

11 luglio 2008 3 commenti

Inchiesta realizzata da Afrodita Carmen Cionchin (Università di Padova)

In che termini descrive oggi la situazione dei romeni in Italia, tra realtà e percezione?

ROBERTO SCAGNO (professore di lingua e letteratura romena, Università di Padova): Il successo delle Olimpiadi d’Inverno di Torino (febbraio 2006) probabilmente non ci sarebbe stato senza il lavoro degli operai romeni che sono stati indispensabili nella collaborazione alla costruzione, in tempi forzatamente ristretti, di nuovi impianti sportivi e di alloggiamenti per i turisti in città e nelle vallate montane sedi delle competizioni sportive, e all’ampliamento e al miglioramento delle infrastrutture. Tutto è avvenuto senza vittime e incidenti gravi. Eppure questa notizia ha avuto pochissimo risalto in Italia ed è stata praticamente ignorata in Romania. In cambio, nell’ultimo anno, gli spazi dei giornali e dei salotti televisivi sono stati sovente occupati da furibondi dibattiti tra i sostenitori del «pugno duro» e della «tolleranza zero» contro i criminali provenienti dalla Romania in maggioranza identificati con appartenenti alle comunità rom e i sostenitori del giusto principio della responsabilità giuridica personale e della norma democratica, fondamento della civiltà occidentale, che vieta ogni discriminazione basata sulla «differenza» etnica, sociale o religiosa. Tali dibattiti sono quasi sempre caratterizzati dalla contrapposizione intollerante di posizioni ideologiche che finiscono con l’emergere in primo piano quando l’argomentazione razionale è sostituita dalle mitologie totalizzanti e dalla emotività irrazionale.

Preliminarmente a ogni altra considerazione occorre, a mio parere, mantenere saldi e condividere alcuni punti fermi: essere vigili contro ogni pericoloso scivolamento verso forme diffuse di intolleranza razzista e di criminalizzazione del «diverso», e quindi punire sul nascere ogni tendenza al «farsi giustizia da sé»; e, nel contempo, garantire la sicurezza di tutti i cittadini non solo attraverso un’azione più efficace della magistratura e delle forze dell’ordine ma anche attraverso un’attività preventiva di controllo sociale e di collaborazione internazionale. Al di là di questo quadro generale, che dovrebbe essere accettato senza alcuna riserva, è aperto il dibattito non pregiudiziale, lo spazio per la pluralità delle argomentazioni. Gli uomini di cultura italiani che a diverso titolo hanno avuto contatti non sporadici con la realtà romena dovrebbero cercare di ottenere maggiore visibilità ai loro interventi, anche sulla stampa romena, ma senza cadere nell’errore simmetrico opposto a quello tendenzialmente «razzista», l’errore della «mitologizzazione positiva». Reputo profondamente sbagliato contrapporre alla stupidità razzista i miti letterari romanzi/romantici da Cervantes a Budai-Deleanu oppure quelli «ambiguamente positivi» del melodramma italiano da Rossini a Verdi. Allo stesso modo, mi pare del tutto insensato utilizzare il paradigma della «pulizia etnica» (come sovente fanno alcuni giornalisti, saggisti e accademici della Penisola) o addirittura evocare l’ombra terribile della Shoah, con il rischio di una incosciente e irresponsabile «banalizzazione del male», anticamera del «negazionismo». Certamente non si devono incolpare interi popoli o interi gruppi etnici, ma allo stesso tempo non si devono chiudere gli occhi di fronte a pratiche sociali aberranti quali lo sfruttamento dei minori e delle donne per furti e rapine, o degli anziani, dei mutilati e dei portatori di handicap per accattonaggio. La lotta contro lo strapotere di italiche mafie e camorre non esclude la lotta contro i racket internazionali che spesso vedono protagonisti rom di Romania. Se a quasi vent’anni dalla caduta del regime di Ceauşescu il «problema rom» non è risolto la colpa non è principalmente delle istituzioni italiane che non hanno utilizzato i fondi europei ma delle autorità e della società civile romene poco sensibili, in generale, ai gravi problemi sociali interni (e non solo a quelli riguardanti la minoranza rom).

Quel che mi preme maggiormente mettere in rilievo è, tuttavia, un altro aspetto. Mi sembra utopico aspettarsi dalla stampa e dalle televisioni nazionali un interesse costante e costruttivo ai risultati positivi dell’immigrazione romena in Italia. L’imbarbarimento dell’informazione verso la messa in evidenza del negativo, del perverso, del macabro e del sanguinoso è, purtroppo, una direzione di marcia accelerata e inarrestabile… A questo punto, è compito ineludibile degli uomini di cultura – accademici, scrittori, poeti, saggisti, ecc. – uscire dalla «torre d’avorio» e dai propri «fortilizi» mitologici per scendere nel «foro» e per guardarsi attorno. Nelle grandi città come nelle piccole cittadine di provincia e nei borghi di campagna o delle nostre valli alpine vivono e lavorano decine di migliaia di famiglie romene che hanno trasformato la loro residenza nel nostro Paese da temporanea a permanente (almeno in prospettiva pluriennale), si sacrificano per fare studiare i figli (che sono presenti ormai non solo nelle classi elementari e nei licei ma anche nelle Università e nei centri di ricerca), mandano mensilmente cospicue rimesse ai familiari rimasti a casa, accendono mutui bancari per acquistare una casa in Italia, iniziano attività imprenditoriali nei settori più diversi (soprattutto nei servizi, nel commercio e nelle costruzioni), cercano di mantenere vive le tradizioni culturali e religiose del Paese d’origine. Spetta a noi uscire dalla «torre d’avorio» prima di tutto per conoscere i Romeni in Italia e poi per aiutarli in una integrazione che è italiana ed europea nel contempo.

Sarebbe auspicabile, inoltre, un dialogo maggiore sui problemi legati alla immigrazione romena in Italia tra gli uomini di cultura italiani e romeni, al di là dell’adesione a comuni messaggi di «solidarietà antirazzista», sovente non accuratamente formulati. A questo scopo ci si deve augurare anche da parte romena una uscita dalla «torre d’avorio» e un superamento della frequente oscillazione tra chiusura nazionalista e indifferentismo sociale.

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ANTONELLO BIAGINI

(Storico, Università degli Studi di Roma “La Sapienza”)

In che termini descrive oggi la situazione dei romeni in Italia, tra realtà e percezione?

Brevemente potrei evidenziare alcuni aspetti che non sempre sono stati messi in luce dalle analisi di questo periodo. L’immagine della Romania in Italia ha goduto di una simpatia “latina” di fondo: il coincidere però di alcuni fatti di cronaca con la pressione delle elezioni e con l’allarmismo verso la “percepita” invasione da parte di nuclei di immigrati ha creato quasi le condizioni di una psicosi collettiva. L’ulteriore confusione tra rom e romeni ha aggravato questa percezione.

La diffidenza – più o meno diffusa – verso i romeni in Italia può essere una conseguenza, forse anche per l’allarmismo sul tema dei media. È inevitabile una tendenza al miglioramento – anche se secondo dinamiche di non breve durata – sia per il progresso sociale che economico che la maggior parte della popolazione romena ha conseguito in questi anni.

PAOLO DONÀ (Giornalista, “Il Gazzettino” di Padova)

Lei è un giornalista che ha anche la qualità di essersi laureato in lingua e letteratura romena all’Università di Padova nel 1982. Qual è, quindi, la Sua opinione sul modo in cui la stampa italiana riflette la realtà socio-culturale dei romeni in Italia?

La chiave di lettura si trova nello stesso concetto di “notizia”. Ci vorrà molto tempo e sarà anche difficile equilibrare la necessità del giornalista di dare le notizie di atti criminali e le “buone notizie”. È normale che la notizia di un crimine faccia molta più sensazione di una buona notizia. La grande scommessa del terzo millennio, da questo punto di vista, è di non pensare più automaticamente a un romeno quando succede un crimine o si parla di un episodio di violenza. È una etichetta sgradita, che svantaggia e lede profondamente la maggioranza dei romeni, e che chiede di essere eliminata: 23 milioni di persone perbene non possono essere stigmatizzate ogni giorno, ogni ora, ogni minuto dalla “follia sociale” di una minoranza che prima di tutto non stima e non ama la propria terra. Storia, arte, tradizione, folklore, non possono essere adombrate nella percezione internazionale da qualche migliaio di delinquenti. Occorre tuttavia tanta pazienza: è una caratteristica che i romeni possiedono e che fino a qualche anno fa li ha accompagnati come un obbligatorio compagno di vita. Questa pazienza non è stata dimenticata. È – e sarà – di grande aiuto per un futuro con una luce più giusta e più buona.

ALVARO BARBIERI (Filologo romanzo, Università di Padova)

Qual è il giudizio di un intellettuale italiano sulla maniera in cui la stampa italiana riflette la realtà socio-culturale dei romeni in Italia?

Sensazionalismo e disinformazione: sono questi, al solito, gli assi portanti della stampa quotidiana italiana. Sulla situazione e le realtà dei romeni residenti in Italia si riflettono, purtroppo, i difetti abituali della nostra pubblicistica. Credo che non ci sia molto da aggiungere.

ERVINO CURTIS (Storico, Presidente dell’Associazione culturale di amicizia Italo-Romena “Decebal”, Trieste)

Anzitutto vorrei menzionare che, nel panorama delle associazioni culturali create da romeni e italiani in Italia, dopo la “Fondazione Europea Dragan”, costituita nel 1967, l’Associazione di amicizia Italo-Romena “Decebal” di Trieste, fondata nel 1987, di cui Lei è Presidente, è la più antica associazione attiva d’Italia, con una ricca attività culturale e di ricerca. Nel presente contesto della realtà romena di qui, come potrebbe caratterizzare l’approccio della stampa italiana?

La stampa italiana riflette naturalmente la grande ignoranza che lo stesso popolo italiano ha sulla Romania e sui romeni salvo casi rari. I romeni confusi con i rom, con gli slavi e ammassati assieme ai marocchini, curdi e tunisini etc. vengono generalmente trattati come la stampa del nord Italia trattava negli anni ’50 i meridionali. È naturale che il grande numero complessivo dei romeni în Italia porta statisticamente a grandi numeri anche per coloro che delinquono tra i romeni ma altresì porta anche a grandi numeri di lavoratori che pagano le trattenute dell’INPS per i pensionati italiani, a grandi numeri di nuovi nati che riempiono le vuote aule scolastiche ed impediscono pesanti ridimensionamenti di personale scolastico, a grandi numeri di badanti che sopperiscono alle carenze della società italiana ed alle difficoltà delle famiglie verso gli anziani, a grandi numeri di addetti all’agricoltura e pastorizia che hanno impedito una tremenda crisi del settore agroalimentare, a grandi numeri nell’industria e nell’edilizia coprendo le carenze provocate dalla poca disponibilità di lavoratori italiani con purtroppo grandi numeri anche tra i deceduti sul posto di lavoro etc. etc. Bisognerebbe più spesso accomunare TUTTI INSIEME questi grandi numeri.

MARIO DEAGLIO (Professore di Economia Internazionale all’Università di Torino, Editorialista economico del quotidiano “La Stampa”)

Nel presente contesto della realtà romena in Italia, molto discussa e controversa, Lei, da editorialista economico de “La Stampa”, è una delle poche voci che hanno espresso, nella stampa italiana, un punto di vista riflessivo più complesso e articolato, documento e informato in proposito. Citerei qui il Suo articolo del 8 novembre 2007 intitolato L’uomo nero, il Rom e il Romeno. Qual è oggi l’immagine dei Romeni in Italia e come viene essa formata e deformata dai media, anche in chiave identitaria, etnica e culturale?

I romeni hanno preso il posto degli albanesi quali “uomini neri” nell’immaginario collettivo specie dopo l’ingresso della Romania nell’Unione Europea e il conseguente massiccio afflusso in Italia di romeni di etnia rom. I media continuano a non fare alcuna distinzione tra romeni e rom (anche nei casi in cui i rom non sono romeni ma originari di altre aree dell’Europa Orientale) e quindi deformano gravemente la realtà. Originariamente, nei confronti dei romeni prevaleva una certa stima soprattutto per la loro capacità di lavoro e la loro facilità nell’apprendere l’italiano.

Quali sono, secondo Lei, le conseguenze di ciò che definisce, nel Suo articolo, “l’attenzione estrema a fatti di cronaca che coinvolgono negativamente i romeni” e “appiattimento di una realtà complessa”?

Le conseguenze sono simili a quelle che si sono verificate altre volte con la “demonizzazione” di una minoranza: si iniettano nel corpo sociale sentimenti di paura e volontà di difesa e di reazione. Va però detto che in Italia vi è un forte antidoto in quanto le centinaia di migliaia di romeni che si comportano legalmente sono, in genere, piuttosto fortemente integrate e proprio per questo è stato difficile (finora) far vedere davvero il romeno come “uomo nero”.

Dall’altra parte, Lei parla giustamente de “l’estrema disattenzione a ciò che succede in Romania, sicuramente il Paese dell’Europa Orientale più prossimo all’Italia non solo per i legami antichi della lingua ma anche per quelli recenti dell’economia”. In questo senso fa risaltare che “tra Italia e Romania si è verificata una straordinaria integrazione”. In che consiste essa e quali ritiene possano essere gli sviluppi futuri?

Si tratta dell’integrazione economica che vede, accanto allo spostamento di lavoro dalla Romania all’Italia, lo spostamento di capitale dall’Italia alla Romania su scala assai maggiore di quanto normalmente si creda. Ciò è stato generalmente opera di piccole e medie imprese ma, se non vi saranno interferenze politiche, è probabile una maggiore attività in Romania di grandi imprese italiane, soprattutto nel campo energetico e infrastrutturale. Un’altra delle responsabilità dei mezzi di informazione italiani è la loro scarsissima attenzione per un paese in cui la presenza italiana è così importante.

(Le interviste sono uscite in romeno sulla rivista mensile “Orizontul” din Timisoara, il 27 giugno scorso)

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