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I labirinti (letterari) di Mircea Eliade
I labirinti (letterari) di Mircea Eliade
di Elena Lavinia Dumitru/ FIRI
M. Eliade, Dayan e altri racconti, a cura di H. C. Cicortaș, postfazione di S. Alexandrescu, Bietti, Milano, 2015, pp. 200.
Le edizioni Bietti hanno pubblicato recentemente, nella traduzione curata da Horia Corneliu Cicortaș, tre racconti di Eliade, inediti in italiano, scritti tra il 1975 e il 1982.
Un filo rosso che sembra attraversare i tre racconti è rappresentato dall’elemento politico, inserito in un determinato contesto temporale del secondo Novecento. Una specie di entità perpetua e allo stesso tempo altamente convertibile acquisisce dimensioni fantastiche e altrettanto assurde, alla maniera di Kafka, attraverso il mistero e la suspense che l’autore sa creare partendo da un fatto sospetto che incuriosisce, dando il via all’azione.
Dayan, il primo e più lungo dei tre racconti, scritto a Palm Beach e a Chicago tra il dicembre 1979 e il gennaio 1980, tratta il tema del tempo attraverso l’incredibile prospettiva aperta dalla matematica per cui il Tempo ha la capacità di concentrarsi e dilatarsi a seconda delle circostanze. Il racconto segue una traiettoria labirintica nella quale il personaggio che gli dà il nome compie un percorso di composizione e decomposizione esistenziale strettamente “accompagnato” da due presenze diametralmente opposte: Ahasverus, una sorta di anima mundi, Spirito del Mondo che potrebbe essere ognuno di noi e l’onnipresente Securitate, la polizia segreta romena che indaga le vicende fantastiche nelle quali viene coinvolto Dayan, un geniale studente di matematica che diventa sospetto e finisce, seguendo il classico e crudele scenario prediletto dalle autorità comuniste romene del tempo, in un ospedale psichiatrico con la diagnosi di una “classica schizofrenia”.
Il racconto La mantella (in romeno Pelerina), datato Puerto de Andratx, agosto 1975, è quello che più permette al lettore di calarsi nell’atmosfera di sospetto e intrigo di un paese socialista al tempo della Guerra Fredda. Il filo narrativo prende avvio da un’anomalia, un fatto sospetto, una specie di scandaloso segreto che sconvolgerebbe il mondo intero. Il tema del tempo, che sembra “atemporale” e insieme molto preciso, aumenta il senso di incertezza e ansia in un universo nel quale tutto sembra di una gravità eccezionale, colossale, irreparabile. Un universo dominato dalle azioni paranoiche della Securitate, pronta a soffocare ogni tipo di complotto contro il Partito che, come afferma un suo alto dirigente, “non sbaglia mai”, ma si sente minacciato dalla misteriosa formula che risulta dalla decodificazione degli incomprensibili messaggi inviati attraverso le copie apocrife di Scînteia, il quotidiano ufficiale del regime.
La formula scoperta dalle autorità che indagano sull’incomprensibile complotto – Sognatori di tutto il mondo, unitevi! – risulta un’alterazione ironica del noto slogan Proletari di tutti i paesi, unitevi!, mettendo così in discussione le radici ideologiche del regime comunista e la sua ingannevole immagine di costruttore del “paradiso socialista”.
Emergono, in questi primi due racconti del volume, i metodi tipici adottati dalla Securitate durante la dittatura comunista (pedinamenti, intercettazioni, ricatti, minacce), ben descritti da un Eliade che si rivela un ottimo conoscitore della Romania comunista, dove non mise mai piede dopo la guerra. Sebbene nel terzo racconto, All’ombra di un giglio… (La umbra unui crin, Chicago-Eygalières, aprile-agosto 1982), il nome dei servizi segreti romeni venga menzionato solo da uno dei personaggi che si riferisce ad un episodio del passato, i metodi polizieschi continuano ad esservi presenti. Lo scrittore sceglie per quest’ultimo racconto un’altra geografia, diversa da quella della città di Bucarest, spostando l’azione all’estero, tra un gruppo di romeni emigrati a Parigi. Come negli altri due racconti, le circostanze, per quanto plausibili, diventano man mano inverosimili. “Incontrarsi all’ombra di un giglio” costituisce la frase chiave della narrazione che apre la discussione su temi che preoccupano la società degli anni Ottanta, con misteriosi riferimenti agli UFO o alle possibilità di alterazione di spazio e tempo confermate dalla scomparsa, in un determinato tornante di una strada statale, di alcuni camion che “entrano in uno spazio con altre dimensioni rispetto al nostro”. Così, la natura sembra governata da leggi e regole che trascendono il tempo, o almeno la temporalità che conosciamo. Parimenti, gli stessi protagonisti dei tre racconti trascendono l’esperienza comune. Dayan, ma anche Pantelimon (ne La mantella) e Postăvaru (in All’ombra di un giglio), conducono solo apparentemente un’esistenza normale. In realtà, ognuno di loro ha delle stranezze difficilmente spiegabili, compie gesti bizzarri e aperti a varie interpretazioni, mescolando il piano della realtà e quello onirico.

Immagine del film TV “Mesagerul” (1995), tratto dal racconto “Dayan”.
Nonostante la composizione complessa che rischia talvolta di confondere il lettore, i tre racconti sono caratterizzati da un dinamismo particolare che risulta dai dialoghi, tesi, ironici e penetranti allo stesso tempo. Come osservava Alex Ştefănescu nella sua Storia della letteratura romena contemporanea (Istoria literaturii române contemporane), Eliade non risparmia il suo pubblico, ma lo espone ad una quantità esagerata di personaggi che si ritrovano a parlare dei grandi problemi dell’umanità, in particolare della probabilità di un’esistenza anche “al di là”, del Sacro Graal dotato di poteri mistico-magici, della possibilità di fermare il tempo, del potere del ricordo e dell’amnesia.
Il lettore si trova di fronte a tre narrazioni che riguardano quella “dialettica del fantastico” – di cui Sorin Alexandrescu parla in un celebre studio sulla narrativa eliadiana – che, secondo lo scrittore, è in grado di mostrare il senso fondamentale dell’esistenza anche in un mondo spopolato dagli dèi. Senso dell’esistenza e (ri)scoperta del proprio destino sono racchiusi nei tre racconti di questo volume che, grazie anche alla breve ma illuminante postfazione di S. Alexandrescu, riesce ad introdurci pienamente nei labirinti letterari di Mircea Eliade.
Elena DUMITRU è traduttrice e docente a contratto presso il Dipartimento CORIS dell’Università di Roma “La Sapienza”. Ha conseguito due dottorati di ricerca, in storia d’Europa presso La Sapienza e in filologia presso l’Università di Bucarest. Autrice de L’emigrazione intellettuale dall’Europa centro-orientale. Il caso di Panait Istrati (Nuova Cultura, Roma 2012) e De vorbă cu Panait Istrati/Parlando con Panait Istrati (Aracne, Roma 2015).
Nota FIRI: Questo testo è la versione leggermente abbreviata della recensione pubblicata sul numero di maggio della rivista “Orizzonti culturali italo-romeni“.
A gennaio in “Orizzonti culturali italo-romeni”
ORIZZONTI CULTURALI ITALO-ROMENI (n.1, gennaio 2016, anno VI) mensile online bilingue; per l’edizione romena, cliccare qui.
Edizione italiana
Constantin Brancusi a 140 anni dalla nascita. Una testimonianza video Nel 2016 ricorrono 140 anni dalla nascita del grande scultore romeno Constantin Brancusi (Brâncuşi), figura centrale del movimento artistico moderno di inizio Novecento e vero pioniere dell’astrazione. Le sue opere esprimono ad un tempo il senso dell’immediatezza della scultura contadina e la sofisticata linea d’avanguardia dell’arte parigina di inizio secolo. Grazie alla collaborazione del regista Victor Popa, pubblichiamo una preziosa testimonianza video, con immagini dall’atelier di Brâncuși (anni 1923-1936) che riprendono l’artista al lavoro.
Scrittori romeni tradotti in Italia. Tutti i libri pubblicati nel 2015 Coloro che sono interessati alle opere di scrittori romeni tradotte in italiano trovano una rassegna dei titoli usciti nel 2015 nel database Scrittori romeni in italiano, a cura di Afrodita Cionchin e Mauro Barindi. Si tratta di scrittori contemporanei viventi, tra cui ad esempio i ben noti Ana Blandiana, Norman Manea e Mircea Cărtărescu, e di importanti nomi del passato più o meno recente, come Mircea Eliade, Liviu Rebreanu, Mihail Sadoveanu, Tristan Tzara. Continua inoltre la pubblicazione delle opere di Cioran con le lettere al fratello Aurel e due libri-intervista con Paul Assall e Philippe D. Dracodaïdis.
«Immenso cielo stellato, maestro di bellezza». Parla Magda Stavinschi Ospite questo mese de «Gli invitati di Smaranda Bratu Elian» è Magda Stavinschi, maggior astronomo romeno contemporaneo e direttore dell’Osservatorio Astronomico dell’Accademia Romena dal 1990 al 2005. Autrice di numerosi articoli specialistici e di pubblicazioni dirette al grande pubblico, Magda Stavinschi è anche attenta ai legami tra astronomia e altri saperi, quindi al dialogo interdisciplinare nonché a quello più ampiamente culturale. Sui tratti di questa poliedrica attività scientifica e su alcune curiosità di questa speciale professione si incentra l’intervista che pubblichiamo.
«Nespus dor». Ancora sulle lettere di Cioran al fratello Aurel Torniamo sulla testimonianza delle lettere di Emil Cioran al fratello Aurel (1931-1985), raccolte nel volume Ineffabile nostalgia, curato da Massimo Carloni e Horia Corneliu Cicortaş per l’editore Archinto (Milano 2015). La condizione dello spaesamento, dell’assenza di radici, del non sentirsi a casa anche in ciò che vi è di più familiare caratterizza, secondo Cioran, l’essere umano. Il tema, sotteso a ogni lettera al fratello Aurel, costituisce una sorta di basso continuo che lega tra loro tutti i testi, nella trama variegata di un unico tessuto esistenziale. Recensione di Draga Rocchi.
Leggere il mondo come una parodia. Anniversario Marin Sorescu Nel 2016 ricorrono gli 80 anni dalla nascita e i 20 anni dalla morte di Marin Sorescu, uno dei più importanti scrittori e poeti romeni del secondo Novecento. Nato il 19 febbraio 1936 a Bulzesti, Sorescu ha pubblicato numerose raccolte poetiche, nonché diversi romanzi, saggi, drammi, traduzioni e interviste con alcuni dei maggiori poeti della scena internazionale. Tradotto a sua volta in oltre quaranta lingue, Marin Sorescu è stato vincitore di prestigiosi premi letterari, anche in Italia, e candidato al Premio Nobel. A cura di George Popescu.
Gli anni romeni dell’esploratore Romolo Gessi Una delle pagine più affascinanti, e insieme meno note, della storia italiana è quella rappresentata dalle vicende dei grandi esploratori italiani, protagonisti fino all’inizio del XIX secolo di rimarchevoli imprese in diverse parti del mondo. Tra i numerosi protagonisti, merita un posto particolare Romolo Gessi, nato nel 1831 e trasferitosi nel 1848 a Bucarest come addetto al consolato inglese. Il saggio di Marco Baratto ne ricorda l’attività diplomatica, svoltasi in pieno clima risorgimentale, dedicando particolare attenzione al rapporto di Gessi con la Romania.
Il Rinascimento di Leon Battista Alberti alla «Serata Italiana» di Bucarest Lo scorso 8 dicembre si è svolta alla libreria Humanitas-Kretzulescu di Bucarest l’ultima edizione delle «Serate Italiane» 2015. Il dibattito ha avuto come punto di partenza lo straordinario volume De familia / Despre familie di Leon Battista Alberti, ora pubblicato per la prima volta anche in romeno nella nota collana bilingue «Biblioteca Italiana» della casa editrice Humanitas. Scrittore, architetto, pittore, scultore, teorico dell’arte, matematico, musicista, Alberti è l’esempio perfetto di «uomo universale» del Rinascimento, tema del dibattito della serata. Cronaca di Diana Ilie.
Frida e le altre (artiste) a Roma, conferenza all’Accademia di Romania
Venerdì, 16 Maggio 2014, ore 17,00
Accademia di Romania in Roma, sala conferenze
Dall’Europa a Roma: Virginia Tomescu Scrocco, Elisabeth Chaplin,
Ružena Zatkova
uno degli 8 incontri del progetto
Frida e le altre
artiste a Roma negli anni di Frida Kahlo
8 incontri
28 marzo -30 maggio
A cura di Monica Grasso, Francesca Lombardi, Lucilla Ricasoli
Intervengono :
Ferdinando Creta, “Vivre en plein air. Virginia Tomescu Scrocco”,
Marina Giorgini, “Ružena Zátková. Un artista cosmopolita nell’Italia futurista”,
Giuliano Searafini, “Eliasabeth Chaplin/Entr’acte romano”
Coordina: Francesca Lombardi
Diverse e notevoli furono le artiste straniere che vissero a Roma un’importante stagione del loro percorso creativo. Ne ricorderemo alcune: la complessa figura della pittrice rumena Tomescu Scrocco; la boema Zàtkovà, che fu allieva di Balla e che partecipò al Futurismo. Un terzo ritratto infine sarà dedicato a Elisabeth Chaplin che, a Roma dal 1916 al ‘22, vi dipinse alcune tra le sue opere più interessanti.
Il ciclo di incontri Frida e le altre – Artiste a Roma negli anni di Frida Kahlo che si svolge in coincidenza con l’importante mostra su Frida Kahlo – si propone come occasione per riflettere sulla produzione artistica femminile in Italia nella prima metà del ‘900, privilegiando il contesto particolarmente vitale di Roma e ponendo in luce le storie – spesso rimaste ai margini del sistema dell’arte – delle numerose e notevoli artiste che, negli stessi anni di Frida, vi intrapresero una non facile carriera professionale. Artiste che nella maggior parte dei casi furono poi velocemente dimenticate e che, ancora oggi, appaiono trascurate sia dalla storiografia artistica che dalle iniziative espositive. Nel corso di otto incontri storiche e storici dell’arte, docenti, giornaliste, artiste e fotografe, con parole ed immagini, ridaranno vita a personalità di donne e di artiste, affrontando nella stessa occasione i problemi storici e sociali che hanno contraddistinto l’Italia di quegli anni e le prime importanti affermazioni professionali al femminile.
Uno spazio ancora negato
di Valentina Elia, FIRI (oblò)
Nuovo ostacolo (francese) per l’adesione allo spazio Schengen di Romania e Bulgaria
Pochi giorni fa in Francia si è alzato un vero e proprio polverone politico che sembra aver anticipato di quasi sei mesi le elezioni locali ed europarlamentari, previste per la primavera del 2014. Oggetto di discussione sembra essere ancora una volta la candidatura di Romania e Bulgaria all’area Schengen, lo spazio in vigore dal 1995 in cui è consentita la libera circolazione delle persone, senza controlli alle frontiere interne.
Negli anni scorsi, diversi stati membri avevano espresso perplessità sull’ingresso di Romania e Bulgaria, arrivando persino a minacciare il veto per bloccare la candidatura (congiunta) dei due paesi danubiani nell’area Schengen. Ad alzare la voce furono stati come la Germania e l’Olanda. Oltre alla presunta inadeguatezza di Romania e Bulgaria nella gestione e prevenzione dei flussi migratori, Germania e Olanda contestavano anche la loro capacità nel fronteggiare la corruzione e la criminalità ai propri confini. Contestazioni che certamente non piacquero agli stati interessati, dati gli enormi sforzi compiuti per mettersi al pari con gli altri membri del club. Ma a queste preoccupazioni politiche ora si accostano le preoccupazioni “culturali” da parte della Francia. A mettere in allarme il Governo francese sono i 20.000 rom stranieri presenti sul territorio della Francia, i quali, si afferma negli ambienti vicino al presidente Hollande, “hanno uno stile di vita estremamente differente”.
Per la prima volta, un argomento di questo genere viene utilizzato per bloccare l’adesione di un Paese UE nello Spazio Schengen. La Commissione europea, pertanto, ha giudicato scandalose le affermazioni della Francia, ricordando che la libera circolazione delle persone costituisce uno dei valori su cui si basa l’Unione Europea. E neppure il commissario della giustizia Viviane Reding è stata clemente nei confronti della Francia, accusandola di usare la questione rom come una sorta di scudo dietro il quale rifugiarsi per non affrontare questioni scottanti come il bilancio del Paese o il debito pubblico.
A smorzare un po’ i toni, cercando di precisare e chiarire alcune questioni alla base delle accuse francesi, è il premier romeno Victor Ponta. Egli ha ribadito che “non esiste una connessione tra l’adesione della Romania allo spazio Schengen e la minoranza rom, per il semplice motivi che la Romania non è ancora un membro dello spazio Schengen, eppure i rom sono già lì”.
Fonte: Gazeta Românească
UE-28: benvenuta Croazia!, ma… dove?
UE-28: benvenuta Croazia!, ma…dove?
di Horia Corneliu Cicortas, FIRI
La Croazia ha ritrovato la strada, smarrita in seguito alla guerre che hanno insanguinato l’ex Yugoslavia negli anni Novanta, e da ieri è il 28-esimo Stato Membro dell’Unione Europea.
A differenza della Slovenia (ormai da 9 anni nell’UE), che è stata coinvolta solo superficialmente nello scontro con le truppe di Belgrado all’indomani della duplice secessione, la Croazia di Tudjman ha dovuto combattere per anni contro la Serbia di Milosevic, che non le voleva cedere regioni di confine abitate da molti serbi (la Slavonia e la Krajna). Non solo: è stata poi trascinata, seppure non direttamente, nella spaventosa guerra di Bosnia-Erzegovina tra bosniaci musulmani, croati cattolici e serbi ortodossi. Il sogno della “grande Serbia”, che aveva alimentato le guerre intestine nelle varie repubbliche e regioni che formavano una volta la Yugoslavia di Tito, si è risolto alla fine in una piccola Serbia, che ha perso tutto, compreso il Montenegro e soprattutto il Kossovo.
Dopo la prima grande ondata di allargamento verso l’Europa centro-orientale dell’UE, nel 2004, seguita dall’adesione della Bulgaria e della Romania nel 2007, il processo di integrazione europea si è apparentemente raffreddato. E questo, non solo per le condizioni particolari richieste alla Croazia e agli altri Paesi coinvolti nelle guerre balcaniche, ma anche per un certo clima di stanchezza, litigiosità interna, mancanza di visione comune e di leadership europea, cui si è venuta aggiungendosi la crisi economico-finanziaria internazionale; una crisi che ha scosso soprattutto l’edificio della moneta euro, ma che ha avuto effetti negativi anche su quei Paesi i quali, pur non facendo parte dell’Eurozona, sono fortemente condizionati dalle dinamiche delle economie facenti capo alla BCE di Francoforte. Pertanto, non dobbiamo meravigliarci se a Zagabria oggi, come ieri a Varsavia o a Bucarest, la gioia dell’adesione (o del ritorno nella famiglia europea) è accompagnata da dubbi e timori.
Come se i vecchi euro-scetticismi non bastassero, l’ingresso della Croazia nell’Unione Europea è stato accompagnato nei giorni scorsi da due eventi, apparentemente senza connessione tra di loro, destinati a gettare nuove ombre sulla coesione europea: il fallimento del progetto del gasdotto Nabucco e il caso Snowden. Il gasdotto Nabucco (Nabucco Pipeline) avrebbe dovuto trasportare gas dal Mar Caspio a Vienna, attraverso il territorio turco, la Bulgaria, la Romania e l’Ungheria. A quanto pare, l’Azerbaigian ha preferito un progetto alternativo di trasporto verso l’Adriatico, promosso da un consorzio internazionale alternativo e, a differenza di Nabucco, non sostenuto ufficialmente dall’Unione Europea. La posta in gioco delle reti di trasporto energetico è costituita dall’importanza, per l’Europa, di diversificare le sue fonti di approvvigionamento per non dipendere troppo da chi, come la Russia di Putin, ha le mani sui rubinetti e usa l’energia come arma di ricatto per i propri interessi, chiamiamoli geo-strategici (specialmente a scapito dei Paesi dell’Europa centro-orientale). Con la sconfitta di Nabucco, Gazprom ha motivi per esultare. Ma quando la Russia (di oggi) esulta, l’Europa non ha tanti motivi per essere felice.
Infine, il caso dell’Europa spiata dalla NSA, rivelato da Der Spiegel, che rende la vicenda Snowden ancora più complessa di quanto sembrasse inizialmente. I leader europei hanno espresso il loro stupore per la notizia e hanno chiesto spiegazioni agli Stati Uniti, partner tradizionale dell’Europa considerata nel suo insieme. Un brivido in più per i Paesi del fianco orientale dell’Unione, che hanno puntato tutto sull’alleanza con chi, in fondo, è tutt’ora il protettore militare del vecchio continente. Anche in questo caso, la posizione della Russia esce avvantaggiata. L’alleanza nord-atlantica, basata sulla fiducia reciproca tra i membri che la compongono, rischia di essere messa duramente alla prova, tra imbarazzi americani e delusioni europee. La questione è tutta da chiarire e reimpostare, non solo sul versante dei rapporti con gli USA, ma soprattutto all’interno dell’UE, se si vuole ritrovare quella coesione ancora latitante. Benvenuta, Croazia!
Moni Ovadia: “Noi/Altri”, sui sentieri della musica d’Europa
Martedì 11 giugno 2013, ore 20.30
Aula Magna – Sapienza Università di Roma
Noi/Altri
Un progetto di e con Mario Ancillotti, Moni Ovadia e Paolo Rocca
Narrazione di Moni Ovadia
Moni Ovadia Stage Orchestra
Ensemble Nuovo Contrappunto diretto da Mario Ancillotti
PROGRAMMA:
Brahms Danza ungherese nelle versioni per violino e cymbalon e per pianoforte a 4 mani
Brahms Rondò alla zingaresca per archi e pianoforte (dall’op. 25)
“Soro Lume” Canto tradizionale romeno
Bartók Danze Romene
Suite di danze popolari romene
Enescu “Ciocârlia”. Sonata per violino e pianoforte 1° movimento
“Ioane Ioane” Canto popolare romeno
Bartók da “Contrasti”: n. 3 Sebes
El Mohle Rakhamin Canto ebraico
Shostakovich 3 Canti ebraici
Mickey Katz Klezmer
Prokofiev Ouverture su temi ebraici
“Dragoste” Canto popolare romeno
– Fuori abbonamento –
Biglietti: € 25-20-15
Under 30: € 12
Studenti Sapienza under 30: € 8
L’Europa è un luogo in cui un gran numero di popoli diversi hanno coltivato le loro culture e tradizioni, in una osmosi straordinaria. Rom e magiari provenienti dall’Asia, e poi ebrei dal medio oriente, portatori di tradizioni lontane e affascinanti, di scale musicali misteriose, di danze esotiche, di canti di lamento e di esilio, hanno in maniera forte e vivificante influenzato le culture dei paesi che attraversarono, a loro volta rimanendone influenzati.
Non è un percorso musicologico che Moni Ovadia e i suoi collaboratori Mario Ancillotti e Paolo Rocca vogliono proporre, ma piuttosto la storia della suggestione di queste tradizioni nella cultura Europea dell’800 e del 900, evidenziando la vitalità di questi legami, confrontando e accostando le musiche tradizionali a quelle “colte”, a volte anche inserendo le une nelle altre.
UFFICIO STAMPA:
Mauro Mariani, tel. 335-5725816, mauromariani.roma@tiscali.it
Un passato da riabilitare
Un passato da riabilitare
di Valentina Elia, FIRI/zoom
L’attuale Palazzo del Parlamento di Bucarest è considerato l’edificio pubblico più grande al mondo dopo il Pentagono di Washington. Un edificio immenso, fortemente voluto dal dittatore comunista Nicolae Ceaușescu quasi a conferma del suo potere e realizzato con materiali tutti provenienti dalla Romania, dal marmo al legno, dai tappeti ai candelabri.
Quando un visitatore si trova al suo interno ne percepisce tutta la sua grandezza, la sua maestosità, lo spirito stesso con cui venne edificato. Ci si sente quasi un granello di sabbia all’interno di queste vaste stanze, di fronte ai candelabri di vetro che dominano gli spazi, dinanzi a scalinate in puro marmo. Tutto qui ha un valore incommensurabile. E non ci riferiamo solo al suo valore storico, a quello che rappresenta, al suo essere una perenne e visibile ferita sempre aperta nel cuore della capitale; ma anche al suo valore artistico, ovvero a quello legato ai materiali, alle linee e agli stili architettonici.
Il Palazzo del Parlamento rappresenta per gli stranieri l’essenza stessa della nazione. Simbolo di un passato che non può essere ignorato, o ancor peggio, dimenticato, ma che al contrario deve essere valorizzato, conservato, affinché funga da monitor per le future generazioni. Peccato però che a Bucarest, ma in anche in altre città della Romania, la manutenzione del patrimonio storico non è all’altezza della realtà, a parte eccezioni come quella del centro storico di Sibiu, tornato all’antico splendore nel 2007, quando la città è stata capitale europea della cultura. Tornano alla mente, infatti, immagini di case, veri e propri gioielli architettonici, in un completo stato di abbandono, degradate, vittime silenziose del tempo e degli agenti atmosferici. Edifici storici privati, pubblici o la cui sorte incerta dipende da sentenze legali o da cavilli burocratici, anche loro con una storia da raccontare, ma a cui è stata tolta la voce.
Eppure tanti sono i movimenti e le associazioni locali che ogni giorno si mobilitano e combattono per restituire a queste meraviglie architettoniche la dignità che meritano. Ad esempio, l’associazione “Case care Plâng” (Case che piangono), che da anni, attraverso diversi progetti e iniziative, cerca di sensibilizzare la comunità alla riabilitazione e promozione di quel patrimonio culturale che per un motivo ancora poco chiaro è stato gettato nell’oblio.
“Fintantoché guardiamo, costruiamo e abitiamo case, l’architettura è un argomento che ci riguarda tutti” – così si conclude il discorso con cui quest’associazione si presenta sul sito, e così voglio chiudere questo mio articolo, con la timida ma forte speranza che tutto possa cambiare.