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La letteratura romena al Salone di Torino 2011 (II)

5 luglio 2011 4 commenti

La letteratura romena al Salone del Libro di Torino 2011 (II)
di Maria Luisa Lombardo e Anita Bernacchia, FIRI

A colloquio con gli scrittori Varujan Vosganian, Doina Ruști, Vasile Ernu

(continuazione di La letteratura romena al Salone del Libro di Torino, I)

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Varujan Vosganian


FIRI: Perché Il libro dei sussurri è un romanzo sui vinti che hanno fatto la storia, per citare le parole di nonno Garabet, uno degli eroi del romanzo?

Varujan Vosganian: Per soffrire davvero, bisogna avere molta forza. Questo è uno dei diritti fondamentali dell’essere umano, non tutelato purtroppo da nessuna Costituzione, un diritto di cui finora solo la cultura si è fatta fervida sostenitrice: il diritto alla sofferenza. Sancire questo diritto non vuol dire far soffrire gli uomini, al contrario, vuol dire accettare il fatto che ogni uomo, ogni popolo ha i suoi simboli, i suoi punti di riferimento, i suoi valori, i suoi dolori, e di conseguenza le sue ferite non ancora rimarginate, che meritano il nostro rispetto.

E’ questo il senso delle parole con cui mio nonno, non io, comincia a scrivere Il libro dei sussurri: “Noi non ci distinguiamo per ciò che siamo, ma per i morti che ognuno di noi piange”. Ecco perché il romanzo non finisce con l’ultima pagina, ma continuerà a esistere fin quando esisterà la paura, fin quando per una lacrima si verserà tanto sangue quanto ne è stato versato, un tempo, per un secolo di guerra. E’ un libro che parla degli armeni, ma anche dei romeni e di altri popoli. E’ un libro sul XX secolo, le sue guerre mondiali, i suoi massacri, le fosse comuni, le sue ideologie e i suoi soprusi. Ma non solo. Ogni luogo, ogni tempo, ogni popolo, come dicevo, ha un suo Libro dei sussurri. Un libro che è vita vissuta, e che attende solo di essere raccontato.

A un certo punto, il narratore dice chiaramente: “Di coloro che soffrono è impossibile raccontare”. Tuttavia, lei si è trasformato in una cassa di risonanza e ha deciso di farlo. Come si riflette la loro sofferenza in lei, come scrittore e come persona?

I miei nonni non mi hanno inculcato il sentimento dell’odio. In realtà non mi hanno raccontato nulla di quanto è loro accaduto, forse proprio per questo motivo. Le storie che riporto nel libro le ho apprese da altri. Il genocidio degli anni 1895-1922 è un trauma collettivo del popolo armeno. Non c’è quasi una sola famiglia che non abbia avuto dei parenti uccisi in quegli anni. Ignorare il genocidio vuol dire comprendere poco o nulla di quanto ci è accaduto dopo quegli eventi. Così è anche nel Libro dei sussurri. Ma, di nuovo, questo libro ci insegna a parlare di quegli accadimenti senza provare sentimenti d’odio.

Quale parte del romanzo le ha richiesto l’impegno maggiore?

Quella in cui parlo dei sette cerchi della morte, i convogli sospinti verso il deserto della Mesopotamia. Poiché si tratta di fatti di un’atrocità indicibile, ho dovuto documentarmi con assiduità, perché nessuno mi accusasse di inventarmi alcunché. Ne è emerso che la realtà non può essere superata dalla finzione, dato che certe cose non avrei osato neppure immaginarle. Poi, scrivendo, ho dovuto reprimere le mie emozioni, benché non ho potuto fare a meno di scrivere, da qualche parte, che mi sentivo anch’io come uno degli infelici entrati nei convogli della morte. Scrivere con tale sobrietà a proposito di vicende così crudeli, specie quando sono accadute al tuo popolo, è come percorrere lunghe distanze correndo in punta di piedi. Un altro impegno non da poco è stato scrivere l’ultimo capitolo, che affronta la morte di mio nonno Garabet. E’ il primo morto che io abbia mai visto. Mi ha insegnato tante cose, persino che cos’è la morte, ha voluto essere il primo a mostrarmela.

Come è stato accolto il messaggio de Il libro dei sussurri sulla scena internazionale?

La versione spagnola, El libro de los susurros, è stata molto elogiata dalla critica. Secondo i nostri rappresentanti presso l’Istituto Culturale Romeno, nessuna opera romena tradotta ha mai avuto così tanta stampa, finora. Io stesso, durante la tournée di presentazioni in Spagna, sono rimasto colpito da come la critica e il pubblico spagnolo hanno recepito il messaggio del libro. In Italia il romanzo uscirà in autunno, ma poiché Anita Natascia Bernacchia ha già ultimato la traduzione, il libro ha già i suoi lettori. Uno di questi è, naturalmente, l’editore Roberto Keller, il quale punta molto sul successo italiano del romanzo. Un altro lettore, del quale sono particolarmente onorato, è il professor Baykar Sivazlyian, presidente dell’Unione degli Armeni d’Italia, che ha presentato il romanzo in anteprima al Salone del Libro di Torino. Sivazlyian ha detto una cosa che reputo essenziale: Il libro dei sussurri, al di là del suo valore letterario, non è un pamphlet, non intende formulare verdetti, non vuole suscitare rancori o sentimenti violenti. Il lettore è colui che deciderà in che modo deve essere analizzata e assimilata la storia.

Varujan Vosganian è autore del romanzo Il libro dei sussurri, in pubblicazione per le edizioni Keller (trad. di Anita Bernacchia) e presentato in anteprima al Salone del Libro 2011.

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Doina Ruști

FIRI: Come è andata a Torino? Scelga due momenti memorabili del Salone del Libro!

Doina Ruști: Il ricordo più vivido è legato a Marco Dotti, critico di prestigio, esegeta di letteratura comparata, nonché fine studioso di Strindberg. L’incontro con lui è stato notevole, e quella maniera estremamente elogiativa ed entusiasta con cui ha parlato del mio romanzo, Zogru, mi ha lasciato senza parole.

Al secondo posto c’è il libro di Robert Darnton (in traduzione italiana, Il futuro del libro), in totale accordo con i miei attuali interessi (mi riferisco a Quattro uomini più Aurelius, il mio ultimo romanzo, in cui tratto proprio il problema dei libri moribondi). Credo sinceramente che fra pochissimo tempo ce ne andremo a spasso con le ‘biblioteche’ al seguito, con i netbook, dove nessuno cercherà più il titolo di un libro o il nome di uno scrittore, bensì solo una parola, legata allo stato d’animo corrente, all’ossessione del momento. E dai milioni di romanzi classici, dalle pagine fruscianti della grande letteratura, si ergeranno solo poche righe, ovviamente in 3D, un brano apparso su richiesta, ed eventualmente la trama. Una frase densa. Anch’essa scelta dalle numerose pagine piene di opzioni. Probabilmente leggeremo per poter replicare o per continuare una frase, modificando a piacere episodi celebri, così come fa il mio personaggio George Cal. Costui ripropone i grandi romanzi, l’Ulisse, Madame Bovary, il Diavolo di Pavese ecc., completandone l’azione, e nessuno è in grado di rendersene conto.

Passeggiando per il Salone del Libro di Torino, ho avuto la sensazione che gran parte del suo spettacolo fosse legata a curiosità extraletterarie, come accade anche in altre fiere, d’altronde. Tuttavia, stavolta ho individuato qualcos’altro, una evidente accettazione del fatto che la letteratura, nella sua forma classica, è al capolinea. E questa impressione mi è stata data non solo dallo stand della casa editrice Adelphi, assediata dalla suggestiva copertina del libro di Darnton, bensì anche dal lampeggiare attento dei flash delle macchine fotografiche delle comitive di studenti.

Doina Ruști è una delle autrici di Compagne di viaggio. Al Salone del Libro ha presentato il romanzo Zogru (Bonanno, 2010, trad. di Roberto Merlo).

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Vasile Ernu

FIRI: Come è stato accolto in Italia il tuo libro Nato in URSS? E con quali impressioni sei tornato a casa, sul Salone del Libro, sull’Italia in generale?

Vasile Ernu: Mi sorprende che ci sia un interesse così grande per gli argomenti che affronto nel mio libro. Allo stesso modo mi ha sorpreso l’interesse della stampa, che, pur trattandosi di un libro d’esordio di un autore poco noto e proveniente da un paese dell’est, ne ha scritto in abbondanza. E’ incoraggiante. Il fatto che  sia stato ben accolto dalla critica e che, a quanto dice l’editore, le vendite siano andate bene, mi riempie di gioia. Speriamo che sarà presto pubblicato anche il mio secondo libro, Gli ultimi eretici dell’Impero.  

Torino è in pratica l’unica città, l’unica zona che ho avuto modo di visitare in Italia (è la terza volta in due anni) e mi sento già molto a mio agio.

Ho trovato il Salone del Libro di Torino molto simile a quello di Lipsia, che considero uno dei migliori in Europa. Viene riservata molta attenzione agli scrittori, e questo è un elemento positivo. Quest’anno in Italia sono state pubblicate diverse traduzioni dal romeno, è senz’altro qualcosa di cui rallegrarsi. Ho apprezzato la buona organizzazione degli eventi, il fatto che abbiano partecipato personaggi importanti della scena culturale italiana e che siano stati seguiti dal pubblico. Dunque, non più presentazioni e letture tra pochi intimi. C’è stato l’impegno concreto sia dell’ICR romeno che della sua sede in Italia, nonché delle case editrici, e anche i traduttori ci hanno aiutato molto. Le cose hanno cominciato ad avere un aspetto molto professionale. Non a caso, anche la stampa si è mostrata più disponibile a scrivere dei nostri libri.

Personalmente, mi sono sentito molto bene. Ho incontrato persone fantastiche e, soprattutto, ho appreso una miriade di cose sull’Italia che prima non sapevo. Ho passato intere serate a parlare con degli intellettuali italiani che mi hanno raccontato tante cose interessanti e abbiamo vagabondato per le vie di Torino. Prometto di tornare, e non da solo, ma con un buon libro.

Vasile Ernu è conosciuto in Italia per Nato in URSS (Hacca, 2010, trad. di Anita Bernacchia), presentato al Salone del Libro 2011.