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Ricordando (l’ultimo) Culianu

13 ottobre 2011 Commenti disabilitati

L’ultimo Culianu. Ioan Petru Culianu nel ventesimo anniversario della morte

Lunedì 17 ottobre 2011, ore 15, Biblioteca di Scienze Religiose “Erik Peterson”,

Sala Michele Pellegrino, Via Giulia di Barolo 3A, Torino.

Incontro di studio sul libro

Horia-Roman Patapievici Ultimul Culianu, Humanitas, Bucureşti 2010.

Prolusione di Horia-Roman Patapievici.

Interventi di Leonardo Ambasciano*, Horia Corneliu Cicortaş, Enrico Manera, Roberto Scagno.

[*Nota: diversamente da quanto annunciato nel programma, il dott.  Ambasciano non ha partecipato all’incontro.]

 – Incontro aperto a tutte le persone interessate –

locandina Culianu Torino (scarica il pdf)

Evento co-organizzato da: L’Università di Torino – Biblioteca di Scienze Religiose “Erik Peterson”, l’Associazione Amici della Peterson, l’Accademia di Romania in Roma e FIRI – Forum degli intellettuali romeni d’Italia.

***

Qui di seguito,  un frammento in anteprima  della prolusione di Horia-Roman Patapievici a Torino, I libri non scritti dell’ultimo Culianu.

(Traduzione italiana di Horia Corneliu Cicortaş).

La nozione di «ultimo». L’ultimo Nietzsche

Vi sono autori la cui opera sembra spaccata, da un certo momento in poi, dall’invenzione o dalla scoperta del principio dell’audacia nella conoscenza. Tale principio dell’audacia conoscitiva funziona come un fattore di rottura, che divide l’opera di questi autori in un ‘prima’ e un ‘dopo’. Incorporando questo fattore di rottura, la loro opera si trova separata in due da una drammatica cesura. L’esempio più alla portata di mano è di Nietzsche: la sua opera è divisa in due dall’«incontro con Zarathustra», quale che fosse la natura di tale incontro. L’ingresso della voce di Zarathustra nel suo pensiero è la cesura che gli lesiona la vita. Dopo tale cesura, Nietzsche sembra essere diventato il profeta di una nuova forma di conoscenza, nel contempo spietata e non conformista, e di un nuovo sentimento della vita, una vita inimitabile. Questa nuova forma di conoscenza, impertinente nei confronti di tutte le tradizioni, sembrava inarrestabile, e Nietzsche sembrava essere il paladino di un nuovo vangelo. Chiameremo questo Nietzsche, «l’ultimo» Nietzsche.

Nietzsche è stato colpito dalla pazzia poco dopo aver mandato alle stampe Ecce Homo, libro animato da una febbre che non è più, patologicamente e metafisicamente, normale. Il suo progetto di Umwerung aller Werte è rimasto allo stadio di cantiere. La volontà di potenza, il libro che non riuscì mai a completare, costituisce il cantiere di una Torre Babele dal quale il suo architetto è stato strappato nel momento stesso in cui si preparava ad annunziare la formula ultima, la via reale per unire il Cielo e la Terra. È come se la pazzia fosse stata lanciata nella mente di Nietzsche proprio per impedirgli di rivelare a noi, coloro che non siamo stati toccati dalle rivelazioni della cesura, qualcosa in più. Come nella teoria di Lucian Blaga (La censura trascendente, 1934), la censura è stata chiamata ad annullare gli effetti della cesura. Col nome di «censura trascendente», il filosofo romeno Lucian Blaga ha immaginato un meccanismo tramite il quale il principio metafisico assoluto ‘censura’ qualsiasi tentativo potenzialmente riuscito, da parte del soggetto conoscente, di conoscerlo. Di fatto, Blaga parte da una realtà epistemologica banale – l’impossibilità del soggetto conoscente di arrivare a una conoscenza adeguata del principio metafisico assoluto – che interpreta miticamente nella chiave del divieto. La sua idea è che una conoscenza è censurata tanto tramite le limitazioni cognitive intrinseche dei nostri strumenti conoscitivi, tanto, in casi speciali, attraverso l’azione ‘volontaria’ del principio metafisico assoluto, il quale ‘si difende’ da quelle operazioni cognitive il cui potere penetrante rischia di svelarne l’essere in modo ‘positivamente adeguato’. Di conseguenza, la censura trascendente entra in azione quando l’assoluto corre il pericolo di essere conosciuto mediante approcci o teorie adeguati.

Qualcosa di analogo è avvenuto anche col Rinascimento, ci dice «l’ultimo» Nietzsche: è stato ucciso proprio quando si trovava sul punto di proporre una tipologia umana del tutto nuova, un nuovo tipo di civiltà, un nuovo tipo di cultura, un nuovo tipo di valori. Qualcosa ci ha negato questo frutto eccezionale, per la cui promessa e assenza – è sempre Nietzsche a dircelo – soffriamo tutt’oggi. Questo ‘qualcosa’ non è stato necessariamente Lutero, il «funesto monaco» cui Nietzsche attribuisce la responsabilità per l’assassinio del Rinascimento. Lutero va guardato piuttosto come lo strumento di un nuovo modo di agire che non è riducibile a lui – come lo dimostra il fatto, segnalato con pertinenza da Ioan Petru Culianu (in Eros e magia nel Rinascimento) che la Riforma e la Controriforma, sebbene nemiche, hanno agito nello stesso senso: la ‘castrazione’ dell’immaginario magico rinascimentale.

Ioan Petru Culianu (1950-1991)

La cesura/censura trascendente

Lo schema generale della mia teoria sarebbe il seguente. Un creatore talentato diventa, ad un certo momento, inverosimilmente dotato. Una cesura inattesa lo rende un altro uomo. Questo creatore diventa una sorta di finestra su qualcosa di molto più ampio rispetto all’esperienza comune degli altri creatori de suo ambito di attività. Egli vede meglio, più profondamente, più radicalmente, rovesciando, col suo nuovo strumento di conoscenza, i confini fissati. Anzi, la sua creazione si manifesta pienamente come chiave universale del mondo. Semplice, riguarda qualsiasi cosa, può rendere conto di tutto; diventa più imperativa, più febbrile, più strana. Sotto il profilo conoscitivo, essa rassomiglia al grido penetrante di un poema geniale. Dopo la cesura, tutti i risultati così ottenuti ci esortano ad accettare che tutto quanto stia intraprendendo questo creatore, rappresenti la ‘rimozione dei veli’ dal ‘volto sconosciuto dell’esistenza’. Gli riesce tutto, e noialtri assistiamo alla sua esperienza vertiginosa col cuore in gola. Poi, quando il creatore sembrava vicinissimo al rivelarci il tutto, in maniera definitiva, qualcosa che è al di là di lui lo ammutolisce. Lo strappa via da noi. Lo getta ‘oltre’ – se di quell’oltre verso il quale ci guidava la sua creazione si tratti. Sopraggiunge una – come chiamarla diversamente? – ‘censura trascendente’. Quasi tutti i creatori colpiti veramente dalle illuminazioni della cesura finiscono per essere ridotti al silenzio dai rigori della censura trascendente.

Una tragica illustrazione di questo schema è stata offerta dalla vita e dall’opera di Ioan Petru Culianu, nato il 5 gennaio 1950 a Iaşi e assassinato il 21 maggio 1991, a Chicago. La mia congettura è che verso la fine della sua breve vita, dopo, diciamo, il 1985 (nel mezzo del cammin), Culianu sia entrato in possesso di uno schema universale di conoscenza. La scoperta di questo principio cognitivo gli ha rivalutato radicalmente tutte le conoscenze precedenti, già formidabili, lanciandolo in una corsa vertiginosa di oltrepassamento dell’intera storia culturale, arrivando però soltanto ad abbozzarla.

[…] In fondo, ciò che chiamo qui «l’ultimo Culianu» rappresenta l’esplosione creativa vissuta da Ioan Petru Culianu a partire dal momento in cui aveva compreso che la sua scoperta metodologica ha delle conseguenze ontologiche inattese e che, se capita bene, essa potrebbe rendere conto di tutto. La chiave metodologica universale si è rivelata essere anche una potenziale mathesis universalis. Questa è la ‘rivelazione’ che la cesura gli ha dato.

Come il perfetto Lönnrot del racconto La morte e la bussola (1942) di Jorge Luis Borges, anche l’ultimo Culiano aveva trovato una delle varianti della risposta finale. Nel racconto di Borges, Lönnrot è stato ucciso secondo un piano che sarebbe fallito se la sua enorme intelligenza non l’avrebbe spinto ad conformarvisi pienamente. La mia percezione strana, che non posso argomentare, è che l’ultimo Culianu, a causa della ‘chiave universale’ che aveva trovato, è entrato (forse senza volerlo) nel frattale di un paradosso di tipo perfetto Lönnrot.

L’autore

Horia-Roman Patapievici è stato docente di Fisica all’Università di Bucarest fino al 1996, anno in cui ha abbandonato la carriera accademica per dedicarsi interamente alla cultura umanistica, di cui è oggi una delle voci più autorevoli in Romania. Autore di numerosi volumi e saggi inediti in Italia, dal 2005 è il presidente dell’Istituto di cultura romeno. In Italia è stato pubblicato il suo volume Gli occhi di Beatrice. Com’era davvero l’universo di Dante? (Bruno Mondadori, 2006).